venerdì 28 ottobre 2011

Moto perpetuo




Ma questi dell’ING Direct, lo sanno che i loro clienti non sono felici? Non lo dico io, lo cantano loro. I aint’ happy, I’m feeling glad. No, tanto per capire se il Conto Arancio renda imbecilli o cosa.
Ma tanto siamo sulla buona strada per diventarlo (alcuni anche incollati alla fiancata di un autobus).

Così mi tocca parlare delle vagonate di retorica che subiamo allorquando accadono fatti spiacevoli. La morte di un ragazzo, così come un terremoto, o l’esplosione di una bomba, pare non possa essere comunicata in maniera semplice, poichè corre l’obbligo di lasciare un segno indelebile nella coscienza collettiva, che prenda il posto del ricordo personale. Dalle nostre parti è una gara a chi punta di più all’effetto trapano intercostale. La frase strappalacrime, il coccodrillo con l’adagio di Albinoni, l’immagine sfocata, nuvole, citazioni celebri, ricordi. Fino all’immancabile intervista alla gente comune. Oddio, quanto odio la gente comune. La gente comune cammina per strada con l’ombrello anche se c’è il sole, spesso ha un cappello, non sa dove sta andando. Io lo so dove sto andando, quando cammino sul marciapiede. E di sicuro non verso una telecamera con una venticinquenne semianalfabeta che mi domanda “Lei lo conosceva?”. E le risposte: “No, ma era un grande” vs. “Mi ricordo che una volta l’ho visto in tv” vs. “Il cielo ora ha una stella in più”.
Ho visto fotomontaggi su facebook che neanche la tv nordcoreana per far apparire più alto Kim Il Jong.
Ho letto articoli che, depurati dalle inesattezze e dalle esagerazioni, si sarebbero ridotti alle parole MotoGp e Coriano.
Ho ascoltato ipocrisia in confezioni magnum da 80 pezzi.
Trasmissioni televisive con standing ovation, minuti di raccoglimento con applausi. Sciacallaggio catodico per menti inermi. E via con la pubblicità.
Il Peggiore di tutti, però, era seduto alla sua scrivania in fòrmica, l’altro giorno. Lui aggiorna le voci di wikipedia. Ne aggiorna parecchie. E non vede l’ora che muoia qualcuno. Non perché sia cattivo. Ma perché quello è il suo momento. Ed è una gara tra molti. Mica è da solo. È un rischio, un azzardo, un buio al poker. Non può anticipare l’aggiornamento, ma neanche tardare troppo. Sarebbe bruciato sul tempo da un altro. Lo so, e quel dito del cazzo attende sempre con trepidazione il precipitare degli eventi. Qualcuno dice che è giusto che sia così, è l’informazione 2.0, le voci vanno costantemente monitorate. Si, lo so, tutto vero. Ma mi fate schifo lo stesso.

sabato 15 ottobre 2011

Allegri dispetti tra innamorati mentre il paese va a puttane


Non so se lo sapete. La notizia è stata tenuta piuttosto riservata, ma alla fine è uscita. Comunque, io ve la dico, perchè è giusto farla sapere. qualcuno dovrà pur dirvelo. È morto Steve Jobs. Non fate quelle facce lì. Lo so, è una notizia bomba. E non sapete neanche che lui ha tenuto, nel 2005, un bel discorso all'Università di Stanford, molto intenso. Lo conoscono in pochi. Il fatto mi è stato rivelato da una vecchia conoscenza. Ma in ufficio nessuno ha prestato attenzione al mio scoop. Erano tutti troppo presi da I Racconti dell'Orrore, a cura della collega misantropa.
Ella ha un compagno da alcuni anni. Gli cucina, gli rassetta casa, stira, lava, raddrizza quadri pendenti, rattoppa buchi di calzino, smacchia colletti, sbatte tappeti, guarda mdf. Tutto nella media. Fin quando, durante un anticipato cambio di stagione, non si imbatte, al fondo di un cassetto, in un rigonfiamento che ammacca la carta profumata sulla quale si appoggiano gli indumenti. Scostando il foglio fiorato, ecco apparire, come nella peggiore puntata di Centovetrine, un filare di preservativi. Va da sé che loro, quelli, non li avevano mai usati. Senza chiedersi come potessero essere arrivati lì in fondo, li lascia nella medesima posizione. Si reca in cucina, e di lì nel piccolo sgabuzzino, che immagino al delicato profumo di cuoio invecchiato e antitarme. Scostando un paio di vecchi moon boot sottomarca, apre l'impolverato mobiletto della macchina da cucire, e da lì estrae il possente barattolone dei biscotti danesi. Cerca, tra bottoni e rocchetti di filo, ed eccolo: lo spillo. Felpata e concentrata, ripercorre la strada che separa la zona giorno da quella notte. Il cassetto è ancora aperto, segno che nessun folletto è entrato per chiuderlo o per svuotare i tubetti del dentifricio. Una mano regge i contraccettivi peccaminosi, ed un'altra pratica un forellino per ogni confezione monoporzione. Uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette. Una settimana di tradimenti mandata all'aria, in 30 secondi.
Alle 20 lui rientra, e lei fa finta di nulla. Alle 22 lui esce, per la partita di calcetto. Lei indossa una parrucca nera (immagino che ogni moglie ne abbia una in dotazione) e lo segue in macchina. E lui va davvero alla partita di calcetto, ma questa è un'altra storia.
Ora, quello che ho cercato di dire mentre il resto del personale le dava abbondanti e complici pacche sulle spalle, puoi anche metterti una parrucca nera, il naso di Sanguineti, l'impermeabile di Zuzzurro, la pipa di Pertini e il diaframma di Lady Gaga. Ma se guidi la macchina che avete comprato insieme, ecco, il travestimento ti serve a poco. Ma lei niente. Tutte la incensavano. E' diventata una leggenda. Eroina tra le colleghe. Ecco cosa penso che giri, nel mio ufficio. Eroina tra le colleghe.

giovedì 6 ottobre 2011

Il Peggiore

 

Sono andato a mangiare il sushi. O meglio, sono andato a vedere “Gente che mangia il Sushi”. Io ho preferito farmi arrostire su di una piastra dalla dubbia igiene della carne di dubbia provenienza da un orientale dai dubbi tratti somatici. Gli altri, ordinatamente, aspettavano di prendere qualcosa di eccellente dal tapis roulant con pesce crudo insapore avvolto in una gustosa alga amara. Il rullo gira, la gente aspetta. È un po' l'effetto valigie in aeroporto. C'è qualcosa che fa un solo giro ed altra che passa più volte. La noia, lo sfinimento. Qualcuno è indeciso. Intanto le mani rapide e sagge della cuoca continuano a creare nuove forme, dicotomie cromatiche senza sale ma dall'indubbio fascino da design minimal-nipponico tanto trendy quanto costoso. 
Una pietanza gira da un po', la scorgo da lontano mentre il finto giapponese massacra alcuni innocenti gamberetti. E' un piatto sbreccato. Ha una lesione ben visibile. Il cibo all'interno non dev'essere buono. Tutti lo evitano. Gira per molto tempo. La rotazione degli altri piatti è veloce. Quel piatto, invece, continua a girare. Senza sosta. Senza che nessuno lo degni d'uno sguardo. È lui. Indubbiamente lui. È Il Peggiore. C'è, lo sappiamo, e tutti lo evitano.
A un certo punto, nella vita, capita di incontrarlo, Il Peggiore.
Possiamo incrociarlo anche solo per un attimo, ma succede.
A me è successo diversi anni fa.
Ero alle superiori, primi anni. Nell'ondata di primi scioperi spicca un ragazzo molto attivo. È l'autore dei cori più divertenti. Con quel megafono riesce ad improvvisare rime dissacranti. Non è bello. Non è alto. Ma ha qualcosa di speciale negli occhi. Noi piccoli lo seguiamo come fosse il pifferaio magico. È più grande di noi. Una sera, tornando a casa col suo Ciao, una Volvo 440 chiude il sipario sulla sua vita, lungo la Statale. La notizia rimbalza lentamente, in anni senza cellulari né social network. La scuola lo ricorda con una veglia. Al funerale siamo in tantissimi. Un amico canta un pezzo dei Nirvana, accompagnandosi con una chitarra a cui salta una corda.

I genitori dello scomparso sono due persone semplici. Un operaio ed una casalinga. Sono sconvolti, il volto sfigurato. Chiedono a Marco, un amico del figlio, quali fossero i vestiti alla moda del momento. Vogliono che il figlio indossi, per l'ultimo saluto, gli abiti che aveva sempre sognato. Marco, l'amico, gli spiega che quelle scarpe lì, con la linguetta fluorescente, vanno molto. Poi vanno quei jeans scuri. Un felpone. Quel bomber. La mamma gli mette in mano cinquecentomila lire. "Fa' tu. Tu lo conoscevi". 
Marco compra i vestiti, le scarpe, il giubbetto. Restano centocinquantamila lire. Marco decide di tenersele per sé. Fa la cresta, sulla spesa per uno che non c'è più. E, in aggiunta, se ne vanta con gli amici. L'ho saputo dopo da chi lo conosceva. Una volta l'ho incrociato lungo il Corso. Aveva i capelli scolpiti dal gel. Camminava con le mani in tasca. Marco. Il Peggiore. Ho provato a spiegare chi fosse, a chi passeggiava con me, ma poi ho desistito.

Quel piattino nero, letto di fauna marina, continua a girare. Non mi piace il sushi.