mercoledì 24 ottobre 2012

Le facce dei cani che mi guardano dalla macchina davanti


Quando scriverò un libro lo intitolerò “Le facce dei cani che mi guardano dalla macchina davanti”. Perché un buon titolo ed una bella copertina fanno la metà delle fortune di un libro. L’altra metà è la capacità di scoparti l’editor della casa editrice. L’altra metà ancora è data dalla tua preparazione in matematica – reparto insiemistica.
E questo tomo non tratterà affatto delle facce dei cani che mi guardano dalle macchine davanti, perché sull’argomento sarei capace di scrivere solo poche ma intense righe. A meno che non mi offrano tanti denari. In questo caso, auspicabile, mi soffermerei su cosa stiano pensando, realmente, in quel momento i cani. Poi mi sposterei sulle razze che sanno tenere la bocca chiusa e quelle che invece tengono il muso spalancato. Poi parlerei della lingua penzoloni. Ed a quel punto la metà di chi ha comprato il libro lo chiuderà. L’altra metà sfoglierà velocemente le pagine per capire se dopo accade qualcosa. L’altra metà cercherà invano la mia foto sul risvolto della terza, per poi correre a ripassare matematica. E così via.

Il fatto è che le cose sono cambiate, e parecchio, da quella sera d’agosto.
Io non ballo. Se lo faccio sembro il cursore sul monitor, quando aspettiamo che si carichi una pagina. Avanti – indietro – avanti, e poi su, e poi giù. Un attaccapanni col parkinson. Se però bevo, ed ho spazio intorno a me, me la cavo.
La situazione era pressappoco quella.
Unò duè, unò duè. I calzari di scena ai miei piedi, utilizzati fino a pochi minuti prima in un’improvvisazione su una balla di fieno, erano completamente sbrindellati. La cosa incomprensibile erano i lacci, che a questo punto avevano vita propria e si spargevano come tentacoli sulla pista polverosa. Musica medievale.
Avete mai ballato musica medievale con scarpe di juta e lacci che raggiungono il mezzo metro di lunghezza ad intrecciarsi tra piedi di alcolemici danzatori? Se sì, terminate qui la vostra lettura e tornate nella vostra stanzetta, che tra poco passa il dottore a visita. Se invece non l’avete mai fatto, fatelo.
Le braccia iniziavano ad andare per conto proprio, sull’onda dell’irrefrenabile suono di un oboe calpestato da un trampoliere. L’altro agitava le sue ali di stoffa, rendendo la scena più onirica di quanto meritasse la gradazione alcolica che percorreva le nostre vene. Avevo compiuto gli anni da pochi giorni e questo mi aiutava a far reggere l’alibi del non riconoscere nessuno tra chi mi gira intorno. “Scusa, era buio….sai, le lenti a contatto…..c’era troppa gente, non t’ho vista…………sarà stato il fumo delle pannocchie abbrustolite”. Eravamo in 3 o 4 a ballare. Ma quel laccio, arrivato oramai a sei metri di lunghezza, non poteva più stare lì. Avrei potuto ammazzare un intero squadrone di narcos in fuga, col semplice movimento della caviglia. Dovevo porre rimedio a quell’abnorme ricrescita. Mi accovacciai provando a far girare il laccio intorno al piede.
Che fai?”, mi dice una tipa, alle mie spalle.
Niente, è troppo lungo. Provo ad arrotolarlo”, faccio io, ancora piegato in due. Non prometto nulla sulla dizione usata per il termine “arrotolarlo”, in tali condizioni di lingua, salivazione, equilibrio mentale.
Se ti aiuto, dopo balli con me?”. Mi giro per vederla, ma è tutto molto confuso. Fumo, labrintite.
Certo. Per così poco…” sono un asso nella materia Frasi sbagliate nel momento giusto.
Aspetta”, fa lei, e con le due mani lo strappa, riportando il tutto ad una misura più umana. Sì, lo ha strappato con le mani. Un laccio. Io non avevo mai visto nulla del genere. Una che trancia un laccio in due è capace di tutto. Mi conviene ballarci, chiunque essa sia.

Mi ricordo una festa della donna. Facevo il quinto anno del liceo e distribuivo una mimosa ad ogni ragazza all’esterno della scuola (sì, l’ho fatto. E allora?). Ad un tratto sento una manata sulla spalla, come se un camionista mi stesse per chiedere se avessi visto la griglia anteriore del suo Scania in giro per la città. Invece era una ragazza, o meglio, pareva una ragazza. Grossa, coi capelli unti ed un bomber vinaccia. “A me non me la dai?”, mi chiede con la voce di Califano, o giù di lì. “Figurati, tieni” e le metto in mano tutti i mazzetti rimasti, fuggendo spaventato.

Ho ripensato all’aneddoto in una frazione di secondo. Poi ho incrociato lo sguardo della ballerina, e non era il camionista dell'8 marzo. Non proprio.
Qui i ricordi perdono aderenza con il terreno su cui poggiano, che spesso è scosceso, melmoso. Si confondono con cose mai accadute, con le cose pensate, immaginate. Rimembro una canzone mai suonata. Si perdono le facce delle persone che abbiamo avuto intorno e la scenografia va svanendo come se cancellata da un colpo di spazzola, quella che ti danno i camerieri dopo che hai spruzzato il Viavà sulla macchia.
Quello che non si dimentica è cosa si è provato. Soprattutto se in quel momento, e subito dopo, e dopo ancora, ci si è risentiti vivi.
Poi è arrivata l'ambrosia. Della gente. E di quello che è successo resta solo una foto.
Ed un bacio non dato.

Perchè in fondo, Aldimari, tu sei un coglione.

Lo pensa anche quel Jack Russell nella Micra.

venerdì 5 ottobre 2012

Questo titolo non ha a che fare col post.



Un uomo decide di voler fare, per motivi che non possono essere divulgati a terzi, uno yogurt in proprio. Senza ingredienti aromatici, solo yogurt fatto di miliardi fermenti lattici vivi per i quali vorrei sentirmi quasi un padre.
Cosa meglio di google per farsi dare esaurienti spiegazioni. Ricerca “Come fare lo yogurt”. Risultato: 701.000 pagine indicizzate.
Addirittura 701.000 pagine dedicate all'argomento, e solo in italiano.
Chissà se volessi fare un caleidoscopio. 80.100 pagine. 'azzo. Su dieci persone che vogliono farsi uno yogurt, 1 preferisce un più comodo caleidoscopio. Che batte anche “come fare un succhiotto” che ha solo 16.700 pagine dedicate. Provo allora "come fare un succhiotto con lo yogurt e un caleidoscopio". Nulla. Strano.

E se volessi fare un quadro? Avrei a disposizione 874.000 pagine belle pronte a farmi diventare un artista. Il doppio delle pagine utili a capire come fare un colloquio di lavoro (382.000). Segno che in Italia l'arte conserva la sua importanza, a discapito della ricerca di un impiego, dannati disoccupati col pennello in mano. Interessa così poco il lavoro, che “come fare un nodo alla cravatta” ottiene 37.500 pagine indicizzate. La metà di “come fare un cunnilingus” (84.600) e un decimo di “come fare un fucile” (443.000). Tutto questo non ha senso. 

Ma ancora meno senso ce l'ha il fatto che la domanda più importante della vita, che è “come fare soldi”, ottenga 3.060.000 pagine. Un buon risultato direte voi. Per dinci, diranno quelli tra voi che hanno subìto molestie da piccoli. E non sbagliate. Ma non è che la metà delle pagine dedicate a “come fare un sito internet” (6.330.000).
L'italiano ha una sua logica? No.
Internet è lo specchio della società? Sì.
Non ci credete? Problemi vostri.
Come fare un dito (il dilemma di noi tutti): 694.000 pagine.
Come fare l'amore (magari un porno, no?): 5.300.000 pagine.
Come fare un cazzo (disegno a mano libera o accidia?): 4.090.000 pagine.
 
Trionfa “Come fare un indice”: 11.700.000 pagine.
Per dinci, perchè?