venerdì 23 novembre 2012

Di amari scadenti, lettere ignote e battaglie ormonali.



Erano passati pochi minuti da quando aveva lasciato il bar. Sulla lingua ancora l'acre sapore di quel composto di erbe medicinali ed addensanti chimici. Pensò agli operai della distilleria, alle loro narici assuefatte, alle mogli insoddisfatte, all'infamia dell'umidità, al lento sonnecchiare degli autisti di tram in pausa. Indossò il casco e gli parve molto più stretto di prima, come se l'alcool si soffermasse sulle tempie degli umani, espandendole a dismisura. Secondo questa filosofia, Simone dovrebbe avere la cirrosi, pensò. Ma si convinse che era une delle sue pericolose elucubrazioni del tramonto.
All'imbrunire, era convinto di avere le idee giuste per migliorare la vita. Il dopo cena, invece, rovinava tutto. Gli ingranaggi delle abitudini ne avevano fotocopiato l'esistenza in grigie pagine, con la ripetizione di parole sempre uguali, ed un susseguirsi simmetrico di §. Ignorava cosa significasse §. La vedeva ergersi lì, appollaiata in tastiera sulla U accentata, ma non se ne curava. E non voleva che una maledetta wikipedia soddisfacesse la sua curiosità. Anzi. Da quando è nato il web, o l'internet, come dicono quelli ai quali sparerei nella rotula e mi ci farei fotografare sopra, è terminato il dubbio, l'amletico dilemma, la lunga curiosità, l'attesa dell'esperto. Qualche click, ed anche un piastrellista può diventare di colpo esperto hegeliano, astrofisico conclamato, urologo ricercato. Non è giusto. Allora lui rinunciava coscientemente a sapere. E § restava un mistero nelle pagine routinarie della sua vita.

Percorse al contrario la strada che aveva fatto più volte, nell'ora precedente.
Si era fermato a pisciare su un albero, mentre sotto ai suoi piedi il fertile terreno sembrava quasi sprofondare. Le luci di un Fiat 128 vinaccia ne segnarono le ombre sul platano. Era così lontano da casa sua che non gli poteva interessare se quell'anziano guidatore potesse essere un guardone o un amico di famiglia. O entrambe le cose. Lo scooter era parcheggiato in discesa e gli ci vollero quattro energiche dondolate per farlo sbloccare. Riprese la provinciale accostando sul lato destro, e permettendo a grassi Suv di sorpassarlo bestemmiando.
Andava da lei. Ma non ne era tanto sicuro. Lui non voleva una storia, un amore, una tacca sulla corteccia. Voleva lei. Lei era qualcosa di diverso. Nei suoi occhi aveva visto cose che non era mai riuscito a leggere in nessun’altra. Lei li aveva abbassati, la prima volta, ma per studiarlo meglio. Lui aveva fatto un passo avanti, come una moviola di milonga, e lei aveva accettato il passo. E da quel gioco di sguardi e pelle sfiorata, lui non aveva capito granchè. Quando era convito di potersi avvicinare, lei non c’era più. Quando lui si allontanava, veniva chiamato a sé. Aveva imparato ad essere sorpreso nella delusione ed illuso nelle certezze. Ma a lui piaceva quasi questo affogare, da bustina del thè soddisfatta di andare a fondo perché sa di poter toccare la cima del miele. Era impossibile resistere. Era impossibile giocare. Ma pur sapendolo, lui continuava a stare lì.

Un segnale stradale divelto lo mise in guardia. Era davvero brutto. Un monito. Pensò ai piccoli indicatori di difficoltà che aveva incontrato nella vita. Significherà qualcosa, aggiunse, quasi sussurrandoselo nel casco taglia S che gli comprimeva la scatola cranica. Per quanti neuroni potesse contenere quando pensava a lei, poi, figurarsi che danno. Imboccò con curva larga la strada dissestata che lo portava dove lei, probabilmente, non lo stava aspettando. Cercò l’auto di lei, parcheggiata in mezzo a 10. Era lì. Un odore di farina e diesel lo distrasse. Non mi piace questo posto, disse. Se vedo qualcosa di strano, riaccendo e vado via, concluse. L’istinto gli suggerì di chiudere gli occhi, il buio avrebbe fatto il resto. Così nulla sarebbe stato strano, lei sarebbe uscita, gli avrebbe sganciato il casco, avrebbero fatto l’amore lì, per strada, sul terreno fangoso solcato da battistrada spaccati, e sarebbero fuggiti via, a tremila km di distanza dall’inutile fluire delle cose quotidiane, per rifarlo ancora e una volta ancora, più sporchi di prima. Passarono due, o forse venti minuti. Lei non c'era. Lui aprì gli occhi, e si accorse di aver parcheggiato a due metri da un tombino, dalla cui fessura spuntava mezzo copertone di auto, all’apparenza ancora gonfio, come un mutante rimasto incastrato tra il mondo sotterraneo e quello, ben più scontato, di quassù. Indubbiamente, la cosa più assurda che gli fosse capitato di vedere negli ultimi tempi. Un segnale chiaro che da lì bisognava andarsene al più presto.

Accese lo scooter. Biiiip, biiiiip. Il cellulare vibrò energicamente nel tascone, all’altezza del petto. Era lei. Un messaggio lo fermò. Sarebbe dovuto partire lo stesso, ignorare quell'avviso, perché sapeva che vederla per un momento gli avrebbe solo fatto male. Avrebbe dovuto scrivere: “Sono sulla strada del ritorno. Mi dispiace. Sarà per un’altra volta”. Come faceva lei. Ma non partì. La vide per un momento, che poi divennero due, tre, otto. Sempre troppo pochi. Tante parole che si accavallavano, sgomitavano, al solo scopo di tenere fuori dalla porta le parole che andrebbero dette, e invece non si dicono.
Poi ripartì, con un amaro in bocca più devastante del veleno che aveva trangugiato al bar, e si avvolse la sciarpa intorno al collo. Lasciandosi alle spalle lei, i suoi capelli legati, le cose che non capiva e quella mezza gomma che spunta da un tombino. 

martedì 13 novembre 2012

Dita





22.09.2011
Avrei barattato il mignolo della mano destra in cambio della voce di Billy Idol. Non tutta. Mi sarebbe bastato saper dire “drink”, come lo pronuncia lui in Dancing with myself.
Alla fine che me ne faccio di un mignolo?
Sulla tastiera del pc utilizzo solo gli indici.
Applaudo sbattendo le prime tre dita sul palmo della mano opposta. Quindi il mignolo è sacrificabilissimo. Il sinistro, meglio ancora.
Non lo uso nemmeno per slide to unlock. Andiamo, il mignolo serve a poco.
A meno che non siate Joseph. Si, perchè Joseph ha una tecnica molto particolare nell’utilizzare le dita. Secondo un suo protocollo, anche se con mani appena lavate, chiunque può toccare qualsiasi oggetto sporco, col semplice utilizzo dei due mignoli, salvaguardando l'igiene del corpo. Come se, appunto, i mignoli non partecipassero alla vita attiva della mano. E lui, coi suoi mignoli, riesce ad alzare oggetti, va da sé putridi, di portata oltre i 20 kg.
Joseph non parla. Ha smesso. Di mestiere è tecnico audio sulle navi da crociera. Un lavoro che odia, ma chi non lo odia? Ebbene, 5 anni fa, mentre smontava un impianto allo stato terminale, in coda ad un raduno trance-polka di ferrotranvieri in pensione, uno sbalzo di tensione lo ha lasciato per 7 secondi a vibrare sul pavimento della Sala Orchidea, in pieno Oceano Indiano - direzione Mauritius. Terminata l'esperienza extracorporea, Joseph si è rialzato, ha tolto un po' di segatura dal suo parka e si è allontanato, fendendo il piccolo gruppo di fasulli che si era creato intorno alla sagoma fumante del risorto, mentre la strobo continuava nel suo infame lavoro.
Da quel giorno, Joseph ha cessato le comunicazioni col mondo esterno.
Fischietta.
E fischietta solo Shout, dei Tears for Fears.
Ad esser pignoli, ferma il refrain a “i can do without...”, lasciandoti col dubbio che quel sospeso non si concluderà mai. E resti con quel “c’mon” fermo, sull'epiglottide.
Non ho mai capito se fischietti quando è felice, perchè Joseph non ride mai.
O quando è triste. O quando è indaffarato.
Comunque vada, quando meno te l'aspetti, parte il pezzo, un sibilo che attraversa gli incisivi e si adagia, comodo, nei tuoi timpani.
“Joseph”, gli faccio “Film Bianco da me e poi in chat?”
Cenno.
La notte, alle volte, col nick ahiMaria, navighiamo nei social adescando bolsi ragionieri sposati. Alcuni implorano l'indirizzo di casa, altri fanno i poeti, i più avanguardisti minacciano il suicidio. AhiMaria è sprezzante nei commenti, molto aggressiva, estremamente mascolina. Sarà perchè è un uomo. Ma piace molto.
Questo passatempo è l'unica cosa che diverte Joseph. È rapidissimo nel digitare frasi acute, al limite del minaccioso. Riesce a prevenire la reazione dell'interlocutore invisibile. Inserisce un rametto di liquirizia tra i denti come fosse un toscano ammaccato, e batte ferocemente le sue dita, mignoli compresi, sulla tastiera nera, nella stanza nera, della casa nera.
Io lo osservo ammirato.
Dopo un po' sputa la radice, si alza, prende il parka e va via sbattendo la porta. E pensare che ci troviamo a casa sua.
Non sai se rivederlo dopo un'ora, un giorno, un anno. Joseph non avvisa. Dà tre colpi al citofono, e sai che è lui.

03.01.2012
Joseph oggi ha un livido su un braccio e lo sguardo basso. Ignoro cosa gli sia successo. Uno spintone in metropolitana. Un commento sbagliato su Hendrix. Non so. 
Casa sua è un coacervo di stracci, chitarre scordate, bollette dimenticate, minacce di creditori. E una lettera di incarico per una crociera di metà gennaio. Lazio, Toscana, Costa Azzurra, merda varia. Midi files in sequenza casuale, tremila euro in contanti, neri e subito, alcool. Un altro viaggio inutile.
Benestanti bronzei di melanoma ed entusiasmati pleonasmi umani a galleggiare con lui. È che le pagano troppo bene, le settimane di lavoro sull'acqua. Joseph le passa tra uno spinotto e uno spinello, watt e volt. Sguardo basso e mani all'opera. Conosce tutte le calzature degli ospiti. Espadrillas a febbraio, pvc infiammabili, sneakers da un rene e mezzo. Ma le facce, quelle no. Non le reggerebbe.
Prendiamo un thè, amaro. Parlo solo io.
Lui, come al solito, è di spalle, alla credenza, che fa finta di pulire fornelli mai adoperati. Questa volta non vuole partire, lo so. Piange. Vado via.

13.01.2012
“Alle ore 22,35 è partito l'allarme. La Concordia, verso le 21.40, ha violentemente speronato una scogliera a circa 500 mt dalla spiaggia dell’Isola del Giglio. Si è inarcata sul lato destro. I 4000 passeggeri hanno raggiunto le scialuppe di salvataggio con notevole difficoltà. I soccorsi sono stati attivati a partire dalla 23,00. Le squadre hanno recuperato, al momento, 18 corpi. Il numero dei dispersi è di 120 unità”

29.01.2012
“Nessuna speranza di trovare superstiti all'interno della Concordia, adagiata su di un fianco nei pressi dell'Isola del Giglio. Sale dunque a 30 il numero dei morti, mentre mancano all’appello 3 dispersi. Si tratta di 2 turisti ed un membro dell'equipaggio, un tecnico del suono”

20.09.2012
Le mattine sono sempre uguali. Ora seguo i principi del feng shui. Lo specchio è nell'altra stanza. La testa sta a nord-est e le piante a sud-ovest. La casa non è più nera. L’analista mi ha consigliato di dormire nudo. Ma io non dormo più. Un caffè insignificante in una tazza sbreccata. Ho lasciato crescere i baffi. Non piacciono a nessuno. Ecco perché li ho lasciati crescere.
Oggi ho un colloquio, ma so che chi mi siederà di fronte avrà passato la notte fumando crack, o leggendo Coelho, e non so cosa gli faccia più male. Prendo le chiavi dal mucchio di carabattole distese sulla mensola penzolante, all’ingresso. La confusione depositata si adagia su di un fianco come percolato in una discarica mal progettata. Apro la porta mogano sbiadito dell'ingresso e metto un piede sulla crosta terrestre. Squilla il telefono di casa. Non squillava da mesi. Avevo anche dimenticato la suoneria. Alzo la cornetta. Dieci secondi di silenzio. E poi, dall'altra parte, un fischio. Shout, Shout, let it all out, these are the things I can do without…
E poi silenzio.
Clack.

Figlio di puttana.