Non capita spesso che si lasci andare ad appuntamento di
cartello locali, organizzati alle ore 20 col chiaro intento di impiattare su di
un tavolone gli avanzi del pranzo, farti ascoltare quello che una volta era
trasmesso nella sala d’attesa dei dentisti e costringerti a stendere su
divanetti bianco coloniale più profondi di qualsiasi femore. Il tutto,
altrimenti detto, aperitivo cenato.
Non che F. disprezzi i neologismi, ma signora mia, aperitivo
cenato non si può proprio sentire. L’accezione “apericena”, poi, lo ha spinto a
prendere il porto d’armi. L’abbondante premessa, comunque, più che servire a
spiegare luogo ed ambientazione, era per
capire chi si ferma alle prime tre righe del post, commentando l'apericena.
Andiamo avanti.
Era lì che cercava di capire a quando risalisse la
coltivazione della carote siliconata che intingeva nella mayonese, che
l’improvvido deejay stabilisce che è giunta l’ora del karaoke. Il mondo continuava a girare, e nel locale
all’aperto ognuno proseguiva nell’opera di controllo smartphone ed
abbeveraggio. Nessuno osava avvicinarsi alla console. Era passata circa
mezz’ora da quella supplica inascoltata, intervallata da un paio di pezzi
riempipista, di sicuro in Kazakistan. Propone un Campari in omaggio al primo
coraggioso.
Mosso a compassione e più assetato del solito, F. si alza in
piedi e si avvicina all’omino in cuffie, che per una ventina di euro stava
cercando di accompagnare le fauci alla moda di bellimbusti in Fred Perry e
signore in abiti fluo. Andava di sicuro meglio al pakistano delle rose, la
serata, impegnato a raccogliere una serie di “non stiamo insieme” e “siamo
tutti uomini”.
“Ce l’hai You spin me around dei Dead or Alive?”, chiede F.,
avvicinandosi all’orecchio del dj.
“Boh, mo’ vedo”, monosillaba il giratori di dischi, come se
stesse parlando con un ottantenne in fila alle poste. “Eccolo, ma la conosci
solo tu”, aggiunge poi con un sorriso beffardo e tartarico.
“Tu mettila e zitto”, chiude F..
Se la canto tutta. È il pezzo più anni ’80 degli anni ’80.
C’è tutto. I capelli lunghi, i guanti, i balli mani roteanti e ginocchia
flesse. Qualcuno applaude, la cameriera gli porta il suo Campari.
“Ma voi la conoscevate?”, chiede il disc jockey agli
avventori.
Dal fondo della sala, un ragazzo con gli occhiali da sole (e
se apericena si odia, quelli con gli occhiali da sole di sera non
sfigurerebbero a cadere dalle scale con le mani in tasca) fa: “Certo. Era
Bananarama dei Venus”
“No”, fa F.. “A parte che hai invertito i nomi. Bananarama è
un gruppo, e Venus era il loro pezzo. Ma si trattava di You spin me around dei
Dead or Alive”
“Ti sbagli”, fa quello.
“Guarda, giovane, che c’è anche scritto qui sul monitor, se
proprio non dovessi credere a me. Ma comunque fidati”.
“Guarda che lo conosco ‘sto pezzo, ed è dei Venus”, aggiunge
il tipo, mentre l’amico al suo fianco ride con una cannuccia incastrata fra i
denti.
“Ti ripeto, per l’ultima volta e poi chiudo qui, che i Venus
non esistono. Quando è uscito questo pezzo tu e la tua pettinatura non
esistevate ancora”, cerca di spiegare F., mentre il dj lo guarda allibito e
qualcuno riprende timidamente la scena col telefono.
“See, vabè. Informati meglio” e l'occhialuto fa un tiro di
sigaretta elettronica.
F. mastica il ghiaccio sul fondo del bicchiere.
Masticherebbe volentieri anche il bicchiere, se potesse. Fa un passo avanti, ma
poi torna al suo posto.
La serata prosegue, dimenticabilissima, come al solito.
Verso le undici, il tipo occhialuto si avvicina al tavolo di
F. e gli lancia un'occhiata senza senso. Poi fa: “sei ancora convinto ?”
F. lo guarda, e chiude: “Sai che sei utile all’umanità come
la carta da gioco dei punteggi internazionali?”, e va via.
ho amato molto quella canzone.... forse per quello non ho mai fatto un apericena.
RispondiEliminasi ma non c'è il sangue!
RispondiEliminac'avevo voglia del sangue!
A me apericena mi dà tanto di infiammazione del tratto finale del colon-retto
RispondiEliminaQuando si parla di "Apericena" si perde di credibilità
RispondiEliminaRadical Chic, brutta gente.
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