Fiero. Orgoglioso di me stesso. Soprattutto comodo. Comodo e sfamato. Occidentale a tutto tondo. Davanti alla tastiera, miope. Non la tastiera. Io. Tronfio batto tasti, poi controllo la mia posta, poi torno ai tasti, alle parole, aggettivi, verbi da coniugare, sinonimi di sinonimi da trovare, stupire, annoiare, infastidire. Le idee meravigliose della sera, appunti indeformabili che diventano carta straccia del mattino. Sorprendenti come un film di rete 4.
Pensi di essere oltre. Non sai che in ogni punto di questo strafottente pianeta c’è qualcuno che fa qualcosa e non gliene frega una mazza di te. Gli altri.
Eccolo, uno sta innaffiando il prato. A duecento metri una quindicenne ha appena aspirato una serie di particelle di amianto. Mille chilometri a nord una suora sta facendo l’amore come non ha mai sognato di fare. Nello stesso istante a Caracas un uomo di 65 anni sta rapinando un negozio che il giorno dopo avrebbe chiuso per fallimento. A Frisco due sposini stanno ordinando un hot dog. Nella kamchatka, bambini che giocano a baseball con la carcassa di un gatto. Sul mio stesso pianerottolo una donna litiga al telefono col suo uomo. A San Paolo un pompiere depresso sta prendendo in braccio una bambina, tra le fiamme di un asilo.
Scene di codardia, disillusione, affetto, indifferenza, scorrono contemporaneamente nello stesso istante in cui sto scribacchiando qualcosa sul mio insulso computer. Credendomi chissà chi. Qualcuno dimostra di non essere nessuno, un altro è , invece, la quintessenza del coraggio.
Quanto coraggio hai avuto, fin d’ora? Poco. E le poche occasioni le hai dimenticate quasi tutte.
Non sono in grado di raccontarle senza esagerare nei particolari, e monterei storie che non avrebbero né capo né coda, tanto sbiadito è il ricordo. Uno, però, c’è ancora.
Ero da troppi minuti alla cassa aspettando che il barista mi chiedesse cosa volevo. “Quel” barista era un cinquantenne, ingrassato e impresentabile, che sfoggiava una celtica sul collo e lo slogan “Memento Audere Sempre” sull’avambraccio. Si, scritto così. Sempre, non semper. Una gara d’imbecillità tra lui e il tatuatore. Vinta, per un soffio, da lui. Probabilmente mi avrebbe volentieri preso a schiaffi, facendo sbattere la mia testa da fricchettone contro il frigo dei gelati. E così non si avvicinava alla cassa, quasi gli facessero schifo i miei spiccioli per Diana Blu e Vigorsol. Continuava a servire derelitti diagonali al bancone, lanciandomi un paio di occhiate di disprezzo. Erano passati 20 minuti, o forse erano solo pochi secondi. Gonfiava il petto e scuoteva la testa, svuotando un campari per metà fuori bicchiere. Allora poggiai la mia tracolla sull’avancassa. In piena trance, pervaso dall’adrenalina. Mantenni il sangue freddo. Lo vidi chinarsi per prendere qualcosa dal basso. Mi dava le spalle. La tracolla andò a coprire il portaresto in plastica trasparente che ospitava alcuni accendini in bella mostra. Alla destra di quell’aggeggio kitsch, un mazzo di chiavi, con l’etichetta “ingresso bar”. Un lembo della borsa lo coprì. Gesti rapidi, post adolescenziali, quando si ragiona sulle possibili conseguenze di un gesto un attimo dopo averlo fatto. Presi il mazzo di chiavi, che scivolò nella borsa, e uscii da quel posto denso di tanfo e nazionalismo. Quelle chiavi giacciono, ancor oggi, sul fondo del lurido fiume che attraversa la mia città.
Andando a dormire, quella notte, non sapevo cosa stesse succedendo a Lodz, a San Teodoro, a Kahnaur. Sapevo però, e questo mi faceva stare bene, che un ignobile barista stava cercando di ricordare dove avesse messo le chiavi del suo bar di merda.
ahah, grandioso.
RispondiEliminaESCREMENTO PUNIRE SEMPER!
"derelitti diagonali al bancone" è una delle meglio immagini lette ultimamente.
RispondiEliminafammi capire. quindi non solo hai fregato delle chiavi ma sei pure uscito senza pagare né le cicche né le cicche?
superhero!
ma lo sai che anch'io quando la mia odiosa vicina di sotto è nella sua cantina con le chiavi all'esterno del corridoio mi viene l'impulso (per ora sempre represso) di chiuderla a chiave nel suo tugurio ! :-)
RispondiEliminaEra il peggior bar di Caracas?
RispondiEliminaQuando scendo le scale e passo davanti alla porta dell'appartamento di quelli di sotto, gli faccio sempre il dito.
RispondiEliminaLo so, è un modo alquanto discutibile per prendersi delle soddisfazioni, delle rivincite, però li odio tanto e non posso farne a meno.
@ zio: nei secoli, fedele.
RispondiElimina@ ciku: ero un uomo da marciapiede.
@ d.: fàllo.
@ conte: Caracas sta alla mia città, come Rubbia sta a Solange.
@ cyb: non è affatto discutibile.