giovedì 29 settembre 2011

Come affrontare realisticamente la crisi economica



Dalle mie parti dovrebbe passare il tunnel dei neutrini, a quanto pare. Considerato che si andrebbe così veloci da anticipare l’effetto a prima della causa (modalità già sperimentata dal premier nell’atto di smentire cose non ancora dette), direi che, a conti fatti, col mio telepass premium ho diritto ad un viaggio nel tempo.

Tornerei indietro, non di molto, giusto il tempo di lasciare l’università e puntare su di un comodo corso per apprendere il montaggio degli infissi. Così da ritrovarmi, quattro lustri dopo, a poter chiedere migliaia di euro in nero in giro per il paese a farlocchi in possesso sì di una laurea, ma utile a stento per poter partecipare a concorsi pubblici per aspiranti toner. Complemento oggetto.

A questo punto, metà anni novanta, cercherei quello che oggi si chiama “venture capitalist”. Gli direi che vengo dal futuro. Salterei le anticipazioni sul presidente americano di colore e gli scudetti all’inter, perché non ci crederebbe. Ma gli esporrei il mio promemoria su come investire i suoi soldi, riservandomi una piccola percentuale.

Da un computer (investire molto) si potrà avere accesso a tutto lo scibile umano e a porno gratis. Ma servirà cercarli. Investire (ma tanto) su un motore di ricerca la cui schermata sia, però, tutta bianca, con una striscia dal debole contorno azzurro ed un logo con 6 lettere multicromatiche. Un bel riconoscimento per i webdesigner che ci hanno insegnato tanti anni fa che lo sfondo deve essere nero e le scritte bianche, altrimenti l’occhio si stanca. Bel lavoro, ragazzi!
Investire (parecchio) su un sito web con, per lo più, video di gatti, tradotto in “Tu Tubo”.
Investire (a cascata) sull’azienda che produrrà un telefono tradotto in ”Io Telefono”.
Investire (a iosa) sull’azienda gestita da uno timido coi capelli rossi, che però giura di aiutarti a connetterti e rimanere in contatto con le persone della tua vita, attraverso la pubblicazione di foto delle vacanze. Persone della tua vita che si svegliano alle sei di mattina per raccogliere frutta virtuale.
Investire (molto) in tecnologia coreana.
      
Alla fine mi consiglierebbe di re-iscrivermi alla facoltà che avevo da poco abbandonato per una florida ed ipotetica carriera di installatore di infissi. Perchè anche nella fantasia, li ricommetto tutti, i miei errori.

lunedì 19 settembre 2011

Le risate registrate dei telefilm americani




Una collega viene investita a due passi dall'ufficio. Sono uno dei primi ad arrivare sul posto. Mi fermo, mi tolgo il casco, la soccorro. È adagiata sul bordo del marciapiede. Lei mi tiene il polso, stringe forte. Ha una caviglia già gonfia, le dita del piede nere, credo ci sia qualcosa di rotto. Piange, mi chiede qualcosa, mi stritola la mano. La persona che l'ha investita piange più forte. Piangono tutti. Io no. Arriva gente, il capannello. C'era chi aveva visto, chi non aveva visto ma immagina, chi suppone, chi accusa. Qualcuno fa già la prognosi. Quanti medici in questa città. Il ragioniere tranquillizza l'investitrice. Passa di lì una pattuglia. I due militari avranno dormito poco stanotte. Ognuno ha i suoi problemi. Ma nulla giustifica l'arroganza, l’insensato senso di superiorità, l’ignoranza.

Nove cose che avrei voluto dire al militare graduato che si è occupato di verbalizzare l'accaduto:
  1. Lei assomiglia al Mago Otelma.
  2. Vedo che la obbligano a fare i fanghi nel Proraso ogni mattina.
  3. Lei mi è molto simpatico. Come il Bactrim caldo.
  4. Com’è andata l’anestesia?
  5. Se azzecca almeno un congiuntivo, le regalo 50 euro.
  6. Marciapiede si scrive con una sola P.
  7. E domani, da cosa si veste?
  8. Doveva proprio chiederlo alla donna ferita, stesa a terra, “Ha una penna?”?
  9. Perché non si spara ad una gamba?

Insiste nel dire che l’autoMBulanza non arriva. Sembra un nome di tribù. Mi riguarda. Mi fa “L’hai chiamata tu?”. Sei più piccolo di me, idiota con gli stivali. Come ti permetti di darmi del tu?
“No, sono arrivato dopo. Credo l’abbia chiamata qualcun altro”
“E chi?”
“Non lo so, non mi sono documentato. Me l’hanno detto e basta”
Mi squadra. Fa un sorriso amaro. Come a dire “Tu guarda questo tipo” al collega emaciato, quello che, tra loro due, sta riflettendo sullo scorrere del tempo ed il Corriere dello Sport.
Attendo che partano le risate in sottofondo. Quelle con gli urletti finali. Le meritiamo.

Sirena lontana. “Ecco, sta arrivando l’autoAmbulanza”, faccio io. Il sorriso amaro si capovolge, in una smorfia di disgusto.
Mi allontano e vado al lavoro, superando a fatica una folla ansimante di dottori mancati, mamme impassegginate, tuttologi novantenni, e due capre col cappello, la pistola  ed i pantaloni stretti, reclutate e pagate per difenderci e proteggerci.

mercoledì 7 settembre 2011

Crisi d'identità


Guardandomi allo specchio cerco di aggiustare un’indomabile ciocca. La schiaccio, con l’aiuto della chimica, e lei si abbassa alle mie volontà ed alla pressione di un composto da laboratorio. Mi osservo le sopracciglia. Accenno un sorriso. Dimentico, sempre, che quello riflesso non sono io. O meglio, son sempre io, ma al contrario. Quello è un tipo che non avrebbe mai pensato di avere un blog. Che non sarebbe mai partito a 16 anni alla volta di un campeggio nazionale, senza tenda né sacco a pelo. Che mai avrebbe organizzato un viaggio ad Amsterdam, fermandosi, poi, 10 giorni a Reggio Emilia perché c’era una che forse gliel’avrebbe anche data. Quello nello specchio ha la voce pulita. Il setto nasale dritto. E non ha una pagina facebook. Non ce l’ha perché non ha voglia. Non lo racconta neanche in giro. Non se ne vanta. Non c’è, e questo gli basta. Non sente il bisogno di condividere foto sbiadite, ragionamenti politici, frasi di Jim Morrison, proverbi dialettali. Non vuole far conoscere il proprio stato d’animo. Non vuole far sapere quanti amici ha. Lui, quello nello specchio, se anche ci fosse stato su facebook, non l’avrebbe cercato Gianluca .

Se per 12 anni non sento il bisogno di cercare uno che abita a 50 km da me, col quale ho condiviso sì qualcosa, ma nulla di fondamentale, un motivo ci deve essere. E non è una ragione logica. Il motivo è che non ci dovevamo cercare. Cercare lui, una sera, è stata più una decisione dettata dalla noia che altro. Ricerca nome-cognome: ce n’è uno solo. Stessa città. E' lui. Neanche dei semi omonimi in giro. Solo lui. Il cognome è bello strano. L'ho trovato. Tant’è. Chiedo l’amicizia (scusate la terminologia, fa rabbrividire. Chiedo venia). Lui non l’ha mai fatto, mi domando per un paio di secondi, perché dovrei farlo io? Secondo questa filosofia il social network sarebbe durato 3 ore, e Zuckerberg tornato a cercare video di asiatiche sulla rete. Vabbè, invio la richiesta. La corredo di un messaggio scarno ed essenziale: “Sei tu?”.
Gianluca ascoltava metal, giocava a Dungeons and Dragons, andava sullo skate, amava in maniera scomposta il baseball. Faceva il disc jockey in una radio locale. Leggeva molto. Non parlava mai a sproposito. Ed era maledettamente sfortunato con le donne. Se ve lo dovessi descrivere fisicamente con un identikit rapido, l’essere vivente a cui più somigliava era J-Ax. Non so quanti di voi, a questo punto, continueranno a leggere, interessati.

Il giorno dopo, mi giunge l’accettazione. Senza messaggi. Senza abbracci. Come se, incontrando dopo 20 anni un vecchio amico per strada, vi salutasse con un’alzata di mento, tirando avanti.
Passano un paio di settimane. Sulla home page generale di FB scorro foto di vacanze e citazioni di Janis Joplin. Robaccia. Poi, pubblicato 3 ore prima, un intervento di Gianluca: “Fico! Valentino Rossi in pole! Forza Vale! Spacca tutto!”. Chi? Pubblicato venti giorni prima: “Fuma l’erba ragazzo ribelle, fa’ l’amore sotto le stelle, ma non bucare la tua pelle”. Aiuto. Chi sei? “A Gianluca piace Controcampo”. Ma cosa dici? A te il calcio non piaceva. Men che meno il motociclismo. Dò un occhiata alle foto. E qui mi fermo. In mezzo ad una manciata di primi piani di Vasco Rossi, spunta lui. Ma non è lui. O meglio, non dovrebbe essere lui. È diverso. Un po’ più grasso. Pare goffo. Gianluca me lo ricordo più alto. I lineamenti non mi ridanno. Verifico nuovamente i dati anagrafici. È lui. Stessa piccola città, data di nascita verosimile. 

Secondo il saggio Luca, il tipo in carne deve avergli rubato l’identità. Come si fa, al giorno d’oggi a rubare così impunemente un’identità? E, poi, cui prodest? Quindi, mi consiglia di scrivergli, in privato. Per chiedergli notizie. Per incrociare qualche dato. Per inchiodarlo. Ma io non ho il coraggio. Ho paura della risposta. E non so perchè.
Quello nello specchio, invece, lo farebbe.