Erano passati pochi minuti da
quando aveva lasciato il bar. Sulla lingua ancora l'acre sapore di quel
composto di erbe medicinali ed addensanti chimici. Pensò agli operai della
distilleria, alle loro narici assuefatte, alle mogli insoddisfatte, all'infamia
dell'umidità, al lento sonnecchiare degli autisti di tram in pausa. Indossò il
casco e gli parve molto più stretto di prima, come se l'alcool si soffermasse
sulle tempie degli umani, espandendole a dismisura. Secondo questa filosofia,
Simone dovrebbe avere la cirrosi, pensò. Ma si convinse che era une delle sue
pericolose elucubrazioni del tramonto.
All'imbrunire, era convinto di
avere le idee giuste per migliorare la vita. Il dopo cena, invece, rovinava
tutto. Gli ingranaggi delle abitudini ne avevano fotocopiato l'esistenza in
grigie pagine, con la ripetizione di parole sempre uguali, ed un susseguirsi
simmetrico di §. Ignorava cosa significasse §. La vedeva ergersi lì, appollaiata
in tastiera sulla U accentata, ma non se ne curava. E non voleva che una
maledetta wikipedia soddisfacesse la sua curiosità. Anzi. Da quando è nato il
web, o l'internet, come dicono quelli ai quali sparerei nella rotula e mi ci
farei fotografare sopra, è terminato il dubbio, l'amletico dilemma, la lunga
curiosità, l'attesa dell'esperto. Qualche click, ed anche un piastrellista può
diventare di colpo esperto hegeliano, astrofisico conclamato, urologo
ricercato. Non è giusto. Allora lui rinunciava coscientemente a sapere. E §
restava un mistero nelle pagine routinarie della sua vita.
Percorse al contrario la strada
che aveva fatto più volte, nell'ora precedente.
Si era fermato a pisciare su un
albero, mentre sotto ai suoi piedi il fertile terreno sembrava quasi
sprofondare. Le luci di un Fiat 128 vinaccia ne segnarono le ombre sul platano.
Era così lontano da casa sua che non gli poteva interessare se quell'anziano
guidatore potesse essere un guardone o un amico di famiglia. O entrambe le
cose. Lo scooter era parcheggiato in discesa e gli ci vollero quattro energiche
dondolate per farlo sbloccare. Riprese la provinciale accostando sul lato
destro, e permettendo a grassi Suv di sorpassarlo bestemmiando.
Andava da lei. Ma non ne era
tanto sicuro. Lui non voleva una storia, un amore, una tacca sulla corteccia.
Voleva lei. Lei era qualcosa di diverso. Nei suoi occhi aveva visto cose che
non era mai riuscito a leggere in nessun’altra. Lei li aveva abbassati, la
prima volta, ma per studiarlo meglio. Lui aveva fatto un passo avanti, come una
moviola di milonga, e lei aveva accettato il passo. E da quel gioco di sguardi
e pelle sfiorata, lui non aveva capito granchè. Quando era convito di potersi
avvicinare, lei non c’era più. Quando lui si allontanava, veniva chiamato a sé.
Aveva imparato ad essere sorpreso nella delusione ed illuso nelle certezze. Ma a
lui piaceva quasi questo affogare, da bustina del thè soddisfatta di andare a
fondo perché sa di poter toccare la cima del miele. Era impossibile resistere.
Era impossibile giocare. Ma pur sapendolo, lui continuava a stare lì.
Un segnale stradale divelto lo
mise in guardia. Era davvero brutto. Un monito. Pensò ai piccoli indicatori di
difficoltà che aveva incontrato nella vita. Significherà qualcosa, aggiunse,
quasi sussurrandoselo nel casco taglia S che gli comprimeva la scatola cranica.
Per quanti neuroni potesse contenere quando pensava a lei, poi, figurarsi che
danno. Imboccò con curva larga la strada dissestata che lo portava dove lei,
probabilmente, non lo stava aspettando. Cercò l’auto di lei, parcheggiata in
mezzo a 10. Era lì. Un odore di farina e diesel lo distrasse. Non mi piace
questo posto, disse. Se vedo qualcosa di strano, riaccendo e vado via,
concluse. L’istinto gli suggerì di chiudere gli occhi, il buio avrebbe fatto il
resto. Così nulla sarebbe stato strano, lei sarebbe uscita, gli avrebbe
sganciato il casco, avrebbero fatto l’amore lì, per strada, sul terreno fangoso
solcato da battistrada spaccati, e sarebbero fuggiti via, a tremila km di
distanza dall’inutile fluire delle cose quotidiane, per rifarlo ancora e una volta ancora, più sporchi di
prima. Passarono due, o forse venti minuti. Lei non c'era. Lui aprì gli occhi, e si accorse di aver parcheggiato a due metri da un tombino, dalla cui fessura spuntava mezzo
copertone di auto, all’apparenza ancora gonfio, come un mutante rimasto
incastrato tra il mondo sotterraneo e quello, ben più scontato, di quassù. Indubbiamente,
la cosa più assurda che gli fosse capitato di vedere negli ultimi tempi. Un
segnale chiaro che da lì bisognava andarsene al più presto.
Accese lo scooter. Biiiip,
biiiiip. Il cellulare vibrò energicamente nel tascone, all’altezza del petto. Era
lei. Un messaggio lo fermò. Sarebbe dovuto partire lo stesso, ignorare quell'avviso, perché sapeva che vederla
per un momento gli avrebbe solo fatto male. Avrebbe dovuto scrivere: “Sono
sulla strada del ritorno. Mi dispiace. Sarà per un’altra volta”. Come faceva
lei. Ma non partì. La vide per un momento, che poi divennero due, tre, otto. Sempre
troppo pochi. Tante parole che si accavallavano, sgomitavano, al solo scopo di
tenere fuori dalla porta le parole che andrebbero dette, e invece non si
dicono.
Poi ripartì, con un amaro in
bocca più devastante del veleno che aveva trangugiato al bar, e si avvolse la
sciarpa intorno al collo. Lasciandosi alle spalle lei, i suoi capelli legati,
le cose che non capiva e quella mezza gomma che spunta da un tombino.
Non vivrei senza l'internèt. (l'accento è importante)
RispondiEliminaHo appena caricato il mio primo video su youtube, eh, l'insonnia, sai com'è.
C'è gioia nel video. Gioia, blasfemia ed una discreta quantità di postadolescenza.
Eliminaio dico interdet. preparo il ginocchio?
RispondiEliminaPreparalo.
Eliminaio sono un esperto ortopedico hegeliano e non me ne curo.
RispondiEliminaDovresti farlo.
EliminaL'amore è un interrogativo rosa dopo le parole 'chi' e 'sei'.
RispondiEliminaIl problema è che non c'è risposta dall'interlocutore.
EliminaSei bravissimo, caro amico. Ma proprio perché lo sei, e soprattutto perché ho finalmente incrociato di persona la tua faccia intelligente e simpatica, mi permetto di tirarti le orecchie per la cacofonia di quel "ed addensanti". Magari è voluta per rendere ancor meglio l'idea dell'amaro in bocca, ma quel tipo di "d" eufoniche è una roba veramente brutta... :-))))
RispondiEliminaUn saluto, e(d) un abbraccio grande grande! :)
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RispondiEliminaPazzo per le allitterazioni, zio...:-))
RispondiEliminaE io che pensavo ci fosse una spiegazione soddisfacente al §... E invece niente.
RispondiEliminaBello!
RispondiEliminaGrazie mille per il commento, CIAO!!!