Uomo indiano che sei seduto al mio fianco, se solo io potessi conoscere la tua lingua.
Forse ti chiederei cosa ti ha spinto ad abbandonare le affollate rive del Gange per giungere sulle coste del Belpaese.
Se sapessi parlare in indiano probabilmente ti domanderei di descrivermi le straordinarie ed universali bellezze architettoniche del Taj Mahal.
Uomo indiano, perchè non mi posso far capire? Potrei chiederti, chissà, di narrami la storia della tua martoriata terra, le intricate strade di Calcutta, il tramonto purpureo che colora le colline di Bombay, il formicaio umano nel sottobosco di Delhi.
Quanto avrai sofferto, uomo indiano. E quanto avrà sofferto il tuo paese, violentato nei secoli dall'uomo bianco, che ne ha preso il cuore e ferito l'animo.
Mi diresti quello che vorrei sapere, se conoscessi il tuo idioma, uomo indiano?
O ti celeresti dietro l'immateriale paravento della diffidenza e della differenza?
Se sapessi parlare la tua lingua, uomo indiano seduto al mio fianco.
Forse vorrei sapere da te quanto ancora dovrai penare per cercare la tua dimensione, prima che Shiva ti abbia in gloria.
Quanto ti manca un gustoso shrikhand.
O, più probabilmente, mi farei dire come si dice in indiano: “Ti sai mettere una mano davanti a quella cazzo di bocca quando tossisci?”.
Scusa, uomo indiano.