venerdì 29 marzo 2013

A me Marzo non è mai piaciuto (storia triste, poi speranzosa, poi)





Scendo in fretta, tre scalini alla volta, perchè è irrimediabilmente tardi. La mattina è catastrofica. Questa volta lo scooter l'ho parcheggiato in fondo al vialetto, pur essendo una zona in cui l'umidità decide di sperimentare nuove forme di condensa semisolida. Schivo due gatti guardinghi che ho deciso di non nominare, tanto comunque non mi degnano della minima attenzione. A circa tre metri dal mio impregnato scooter c'è un omino sulla settantina, intento a dipingere con certosina passione l'inferriata del recinto. Indossa uno di quei cappelli da pescatore ingialliti da sole, ms e sudore, e lavora di fino col pennello, stemperando un grigio temporale su un ferro mm.3.
“Buongiorno”, gli faccio
“A voi. Andate a lavorare?”. A me il voi non dispiace. Soprattutto dettomi da un anziano lavoratore piegato sulle ginocchia.
“Bè, si” faccio io, “e sono anche un po' in ritardo”
“Dove lavorate?”
“Nell’Ufficio xyz, al Palazzo Arancione”, faccio io.
Il vecchietto posa il pennello e mi fissa per qualche secondo. “Io ho lavorato lì di fronte , per venti anni. Sturavo i pozzi. Ci lavora anche Antonio. Lo conoscete?”
Lo conosco. Lavora a due passi dalla mia finestra.
Riprende a parlare. “E' una bravissima persona, sempre disponibile. Mi ha anche aiutato molto in un momento particolare della mia vita. In quei giorni non avevo nessuno, e lui c'è stato. Senza chiedere nulla”, aggiunge parlando lentamente, cercando di affinare il suo italiano stentato.
Lo sguardo si fa lucido. Riprende a spennellare, ma il suo braccio ora è molto più raccolto.
“Voi ditegli solo che lo saluta Gianfranco, il pittore. Lui si ricorderà. E ditegli che...” Si ferma. Guarda il lavoro fatto fino al momento preciso in cui mi ha rivolto la parola. Pare soddisfatto.
Io aspetto.
“E ditegli che appena posso lo passerò a trovare”.
La voce è rotta dal pianto. Si tocca il naso col polsino della camicia di flanella. Dice un'altra cosa che non capisco, ma mi piace pensare che mi abbia salutato. Ficco il casco e mi passa un brivido dietro alla nuca. La sagoma di Gianfranco piano piano rimpicciolisce nello specchietto retrovisore, fino a svanire dietro l'angolo.
Ci sono momenti in cui vorrei che lo scooter si ingolfasse. Non ho più voglia di andare al lavoro. Mi fermerei, se potessi, in riva al fiume. Che anche se è beige e dentro ci nuotano solo le piattole, è comunque il mio fiume, padre dei canneti che ancora si vedono da qui e di generazioni di zanzare con le quali non ho ancora imparato a convivere.
Le braccia, invece, come al solito mi riportano in ufficio.
Ora Gianfranco avrà finito la parte della ringhiera che gli mancava. Starà passando la seconda mano, o si sarà fermato a fumare? Qualcuno che lo aspetta a casa c'è? Un nipotino che gattona e presto imparerà ad usare il telecomando prima che ad imparare le regole del nascondino, un'anziana moglie pronta con il caffè del discount allungato nelle tazzine di porcellana sbiadita e stinta? Non so cosa stia facendo Gianfranco ora, in realtà.
Cerco con lo sguardo Antonio, fuori alla porta del suo ufficio. Ma non c'è.
Sono passati alcuni giorni. L'inferriata è bellissima. Mai uno squallido grigio è stato tanto splendente. Gianfranco ha finito il suo lavoro e seduto a terra non c'è più nessuno. Sarà altrove.

Oggi, senza andare di fretta, sono arrivato con 5 minuti di anticipo. Il tempo è un cattivo amico. Si rende utile solo quando non ne hai bisogno.
Mentre giro la chiave nella serratura, dalla porta a specchio intravedo la sagoma di Antonio. Si sta accendendo la prima delle mille sigarette che fumerà oggi. Torno indietro, gonfio il petto e mi avvicino. “Qualche tempo fa ho conosciuto Gianfranco il pittore. Ti saluta caramente.”
Sono orgoglioso. È come se avessi portato il latte caldo ad un bambino con la gola gonfia e dolorante. So di aver completato la mia opera.
Antonio mi guarda, fa un tiro lungo e, sputando il fumo, mi fa “Se lo rivedi digli che è uno stronzo.”
E se ne va.
Io resto lì, con la mia solita faccia.
La faccia di uno che il tempo passa, e non ha capito un cazzo.

7 commenti:

  1. Allora siamo in due a non aver capito un cazzo.... Ma tu con Antonio dovevi indagare...

    RispondiElimina
  2. il discorso è che antonio ha prestato dei soldi a gianfranco che, non essendo italiano, ha pensato che quei soldi fossero un regalo anzichè un prestito.
    ecco spiegato tutto.
    grazie grazie.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Sai che potrebbe essere andata davvero così?
      Oppure no.

      Elimina
  3. Ma poi Gianfranco è realmente così stronzo?
    Tutti i Gianfranco che conosco io son invece bravissime persone.

    RispondiElimina
  4. Son stronzi gli Antonii... Vanì Ps: wè, torno di rado ma leggo sempre di gusto ;-)

    RispondiElimina