Scendo in fretta, tre scalini alla volta, perchè
è irrimediabilmente tardi. La mattina è catastrofica. Questa volta lo scooter
l'ho parcheggiato in fondo al vialetto, pur essendo una zona in cui l'umidità
decide di sperimentare nuove forme di condensa semisolida. Schivo due gatti
guardinghi che ho deciso di non nominare, tanto comunque non mi degnano della
minima attenzione. A circa tre metri dal mio impregnato scooter c'è un omino
sulla settantina, intento a dipingere con certosina passione l'inferriata del
recinto. Indossa uno di quei cappelli da pescatore ingialliti da sole, ms e
sudore, e lavora di fino col pennello, stemperando un grigio temporale su un
ferro mm.3.
“Buongiorno”, gli faccio
“A voi. Andate a lavorare?”. A me il voi non
dispiace. Soprattutto dettomi da un anziano lavoratore piegato sulle ginocchia.
“Bè, si” faccio io, “e sono anche un po' in
ritardo”
“Dove lavorate?”
“Nell’Ufficio xyz, al Palazzo Arancione”, faccio
io.
Il vecchietto posa il pennello e mi fissa per
qualche secondo. “Io ho lavorato lì di fronte , per venti anni. Sturavo i
pozzi. Ci lavora anche Antonio. Lo conoscete?”
Lo conosco. Lavora a due passi dalla mia
finestra.
Riprende a parlare. “E' una bravissima persona,
sempre disponibile. Mi ha anche aiutato molto in un momento particolare della
mia vita. In quei giorni non avevo nessuno, e lui c'è stato. Senza chiedere
nulla”, aggiunge parlando lentamente, cercando di affinare il suo italiano
stentato.
Lo sguardo si fa lucido. Riprende a spennellare,
ma il suo braccio ora è molto più raccolto.
“Voi ditegli solo che lo saluta Gianfranco, il
pittore. Lui si ricorderà. E ditegli che...” Si ferma. Guarda il lavoro fatto
fino al momento preciso in cui mi ha rivolto la parola. Pare soddisfatto.
Io aspetto.
“E ditegli che appena posso lo passerò a
trovare”.
La voce è rotta dal pianto. Si tocca il naso col
polsino della camicia di flanella. Dice un'altra cosa che non capisco, ma mi
piace pensare che mi abbia salutato. Ficco il casco e mi passa un brivido
dietro alla nuca. La sagoma di Gianfranco piano piano rimpicciolisce nello
specchietto retrovisore, fino a svanire dietro l'angolo.
Ci sono momenti in cui vorrei che lo scooter si
ingolfasse. Non ho più voglia di andare al lavoro. Mi fermerei, se potessi, in
riva al fiume. Che anche se è beige e dentro ci nuotano solo le piattole, è
comunque il mio fiume, padre dei canneti che ancora si vedono da qui e di
generazioni di zanzare con le quali non ho ancora imparato a convivere.
Le braccia, invece, come al solito mi riportano
in ufficio.
Ora Gianfranco avrà finito la parte della
ringhiera che gli mancava. Starà passando la seconda mano, o si sarà fermato a
fumare? Qualcuno che lo aspetta a casa c'è? Un nipotino che gattona e presto
imparerà ad usare il telecomando prima che ad imparare le regole del
nascondino, un'anziana moglie pronta con il caffè del discount allungato nelle
tazzine di porcellana sbiadita e stinta? Non so cosa stia facendo Gianfranco
ora, in realtà.
Cerco con lo sguardo Antonio, fuori alla porta
del suo ufficio. Ma non c'è.
Sono passati alcuni giorni. L'inferriata è
bellissima. Mai uno squallido grigio è stato tanto splendente. Gianfranco ha
finito il suo lavoro e seduto a terra non c'è più nessuno. Sarà altrove.
Oggi, senza andare di fretta, sono arrivato con 5
minuti di anticipo. Il tempo è un cattivo amico. Si rende utile solo quando non
ne hai bisogno.
Mentre giro la chiave nella serratura, dalla
porta a specchio intravedo la sagoma di Antonio. Si sta accendendo la prima
delle mille sigarette che fumerà oggi. Torno indietro, gonfio il petto e mi
avvicino. “Qualche tempo fa ho conosciuto Gianfranco il pittore. Ti saluta
caramente.”
Sono orgoglioso. È come se avessi portato il
latte caldo ad un bambino con la gola gonfia e dolorante. So di aver completato
la mia opera.
Antonio mi guarda, fa un tiro lungo e, sputando
il fumo, mi fa “Se lo rivedi digli che è uno stronzo.”
E se ne va.
Io resto lì, con la mia solita faccia.
La faccia di uno che il tempo passa, e non ha
capito un cazzo.
Allora siamo in due a non aver capito un cazzo.... Ma tu con Antonio dovevi indagare...
RispondiEliminaL'ho cancellato dai miei contatti visivi.
Eliminail discorso è che antonio ha prestato dei soldi a gianfranco che, non essendo italiano, ha pensato che quei soldi fossero un regalo anzichè un prestito.
RispondiEliminaecco spiegato tutto.
grazie grazie.
Sai che potrebbe essere andata davvero così?
EliminaOppure no.
Bellissima storia, davvero.
RispondiEliminaMa poi Gianfranco è realmente così stronzo?
RispondiEliminaTutti i Gianfranco che conosco io son invece bravissime persone.
Son stronzi gli Antonii... Vanì Ps: wè, torno di rado ma leggo sempre di gusto ;-)
RispondiElimina