venerdì 26 novembre 2010

Lei* non sa chi sono io. Biografia/1

Ettore Aldimari, figura controversa degli anni ’10, primo figlio maschio, nasce alla metà della seconda metà del secolo scorso in una località non del tutto amena, all'incrocio tra 2 paralleli, nel periodo tardo barocco, a cavallo tra collina e pianura, nei pressi della clinica privata A. Massaccesi. Prima di lui tutte le cose erano state create, per mezzo di lui alcune rischiavano di non esserci più. Alto fin dalla nascita, pasciuto quanto basta, estremo ed omologo, diafano olivastro, dimostra sin dalla tenera età una spiccata propensione per il dolce far niente, combinata con una strenua difesa dell'ossimoro, inteso come ultima spiaggia prima del Petrus. Visore notturno e camminatore al contrario, a 5 anni decide di riaverne 4, ottenendo dal Consiglio di Stato una sentenza destinata far dottrina. Quell'estate frequenta Scalea. A 6 anni spolvera un mobile. A 7 anni, ne apre un cassetto. Lo tireranno fuori 3 giorni dopo. Ai magistrati racconterà di aver avuto paura, ma era solo l'inizio. Assaggia il suo primo succo di frutta a 8 anni. Alla stessa età compra del polietilene ed avvia una battaglia sul 41 bis. Ha un padre.

Nel Nome del Padre.
Giuseppe Aldimari, un facoltoso non abbiente della zona bene della periferia, soprannominato 'O Defrag a causa di una basetta albina, lo instrada all'arte del suggere linfa di mangusta con la forza del pensiero. La cosa gli servirà nei primi anni di scuola per usurpare ai bidelli ipoteche su terreni incolti e per avvantaggiarsi nella cultura dello sverginamento delle supplenti tinte. Ex muratore, emigrato in Basilicata per far fortuna, si destreggia vendendo valigie in cartone con lacci all'uscita della Stazione di Milano nei primi anni '50. Grazie ad una fortunata joint venture con lo studio La Presse, diventa milionario prima, miliardario poi, milionario quindi ed infine squattrinato e poi nuovamente miliardario, acquistando e rivendendo modelli Colecovision all'uscita degli studi di Portobello. Ha lui l'idea di accusare Tortora, manipolando degli incarti di chupa-chups con la tecnica del pointillisme. Dopo alcuni anni tra galera e Palazzo di vetro dell'ONU, Giuseppe, che da ora in poi chiameremo DJ Hooker per una sostanziale somiglianza con Kirk Douglas, inizia a studiare Solfeggio presso il Conservatorio di Amsterdam, distinguendosi tra tutti gli studenti per la capacità  di eseguire il concerto per pianoforte e orchestra n.3 in Re minore di Sergej Rachmaninov con il solo indice. Per questo motivo, e per la nota cleptomania, è eletto per 3 anni di fila impiegato del mese nella locale Vegè, ottenendo il plauso del Sindaco di Amsterdam e la boriosa approvazione del senato accademico. La carriera di musicista si interruppe bruscamente quando Woodward e Bernstein, in vacanza gay friendly nei canali olandesi, scoprirono dei mangiadischi Penny nascosti abilmente sotto il paltò di Cluedo, l'inseparabile cagnetta che ha accompagnato DJH in tutte le esibizioni. Il tipo viene così allontanato dai Paesi Bassi e costretto a tornare mestamente nella terra natale, dove si arrangia, come correttore di coloro che dicono “Giovannotti” e “Murphy e Nike”. All'età di 15 anni compiuti, conosce Gary Sinise, ma non ne intuisce le capacità recitative e lo liquida con un “mi faccio sentire io”, di cui si pentirà per tutta la vita, tentando invano, poco prima del compimento della maggiore età, di sfondare nel piccolo schermo con un'opera in 3 atti intitolata “Volevo i pantacollant”1, liberamente ispirata alla vita di Salvatore Giuliano. Il pezzo, bistrattato da Giordano Bruno Guerri, omonimo del critico rauco, sulle colonne di Paese Sera con un'editoriale al vetriolo, riceve una misera Coppa Volpi a Venezia. Lo smacco subìto convince DJH a cambiare strada. Lo stesso Bruno Guerri, anni dopo, intervistato circa l'articolo che aveva stroncato il giovane autore, ricordò di non ricordare nulla e pretese che gli fossero rimborsati i costi di viaggio sostenuti per affrontare quell'intervista composta da una sola domanda. La causa è tuttora in corso. Terminati gli studi all’Istituto Omnicomprensivo Gina Lagorio di Boston, DJH incontra Mario Capanna, cedendogli il parcheggio in Corso Buenos Aires a Milano. La conseguenza di ciò fu che DJH si vide costretto a girare in macchina per più di 2 ore alla ricerca di un nuovo posto auto. La cosa lo colpisce a tal punto che quando esce “Formidabili quegli anni” decide di aspettare l’edizione economica. E fa sul serio.

 1 Armando Curcio Editore. Milano.


* mia moglie.

3 commenti:

  1. con questo post entri di diritto nella lista dei blog che seguo; senza Se e senza Ma, Serena e Manuela, due sorelle note al pubblico per la loro eterna indecisione. Nessuno le chiama mai, perché sono due caca cazzi: ti avrebbero detto sicuramente di non comprarlo quel costumino bianco del post qua sotto!

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  2. Onorato (glauco e marzio, due attori cugini delle 2 di cui sopra) della tua scelta. Ad minora, semper.

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  3. Mario Capanna parla in latino.
    (e il Campiello a De Crescenzo)

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