Diciamo subito le cose come stanno.
Io non sono l’uomo perfetto che si può credere. Anche io ho i miei difetti. Ho una scarpiera piena di difetti.
Una volta bevevo orzata. Ho avuto un diario segreto. Ho alcuni boxer a righe. Ho fatto perfino volontariato in una bottega di commercio equo e solidale. Non ne vado fiero, ma è giusto dirvelo. La statua di Saddam non cadde, tenuta sbilenca da un’efficace sistema di rotelle haribò annodate col metodo Carrick, mentre una micro popolazione festante, formata da ghiottoni di kebap e squatter fighetti, lanciava grida osannanti. Non cadrà neanche la mia statua, ma è giusto ammettere le proprie colpe. Anche la più grande. Un 14 di febbraio di alcuni anni fa.
All’epoca frequentavo, da avventore saltuario, una casa in cui coabitavano molteplici figli di questa società cattocomuniscapitalistica benpensante. Uno di loro, in particolare, non prometteva nulla di buono. Aveva diverse decine di tic nervosi. Sentivi che stava per arrivare dal click dell’interruttore luce, uno sfrenato loop di circa 2 minuti, in entrata e in uscita. Leccava la polvere di toner, frenava in auto con la mano, per non spostare i piedi dal pedale assegnato loro. Si era tirato via un’unghia del piede vedendo una finale di Coppa Davis. Ed il tennis non gli piaceva neanche. Non fumava, ma chiedeva sigarette. Non beveva, ma nelle serate di sbornia era il primo a vomitare. Ingoiava viti, gettoni, biglie senza addurre motivazione alcuna. Alle volte lo trovavi a mendicare alla fermata del bus. Poi, appena ricevuto l’obolo, apriva il portafogli e lo posizionava in un mazzetto di banconote fior di conio, davanti allo sbigottito benefattore. Voleva che lo chiamassimo Raulgardini, per via di un difetto alla palpebra sinistra, ma in realtà si chiamava Fabio. Aveva l’herpes labiale. Sempre. Non sapevamo di cosa campasse, e lui non lo raccontava. Taluni dicevano spacciasse la bianca nei mercoledì universitari. Alcuni sostenevano che vendesse il proprio corpo ai canuti industriali dell’alta valle. Altri sostenevano che fosse un family banker di Mediolanum. Lui negava, sempre, sdegnato. Fabio era pessimo. Era ciò che nessuno voleva diventare.
Gaetano, invece, era perfetto. Troppo perfetto. Non parlava mai a sproposito, ti risolveva i problemi con una telefonata, sapeva a memoria capitali del mondo, ingredienti dei cocktail, marcatori di tutte le finali di coppa dell’epoca moderna. Ti sapeva dire se una donna era tinta, riconosceva il difetto del motore dal rumore post accensione. Ed aveva uno splendido sorriso. Lo chiamavano Foie, perché aveva un coraggio innato. Aveva salvato una bambina da un’auto in fiamme. Mi aveva regalato il suo Si, modificato con marmitta sito plus e variatore. Da rappresentante d’istituto si era fatto tutte le bionde della sezione E, compresa Ezio, che all’epoca credevamo una dolce ragazzina coi genitori emigrati da Dortmund, ma le cose stavano diversamente. Suonava il pianoforte, il clarinetto ed il jambè. A Natale aveva regali per tutti. Gaetano era un simbolo. Era l’uomo che tutti volevamo essere.
Eppure, io, non glielo dissi. Io, quando scoprii il Fatto, non gli dissi nulla. Penserete sia un infame, una carogna. Ma lì per lì pensai non fosse il caso. Avrebbe potuto reagire male, perdere quell’aura di santità che si era creato, rovinare un’immagine pressoché perfetta.
Dovevo andare al bagno, per sciacquarmi le mani dopo che quell’idiota di Ugola aveva cosparso di olio per macchine da cucire tutti gli accendini presenti in casa. Diceva che era un rito di purificazione. Con le dita unte e maleodoranti, corsi in bagno e trovai la porta socchiusa. E, come il bullo della classe che cerca di spiare la liceale, dalla porta socchiusa intravidi Raulgardini che, senza ritegno alcuno, controllava lo stato delle proprie emorroidi con lo specchietto orale di Gaetano. Finita la verifica, lo specchietto tornò al suo posto, nel bicchiere degli spazzolini. Raul aprì la porta, dalla quale mi ero un attimo prima allontanato, mi salutò con un nome sbagliato, e tornò in cucina. Io mi lavavo le mani ed osservavo il bicchiere. Lo osservai a lungo. Strofinai forte il sapone sui palmi scivolosi, quasi a voler togliere via, olio, sporco e ricordo di quanto appena visto. Mi preparai la frase. Il mio J’Accuse si andava formando. Conteneva citazioni dotte, richiami all’onore del maschio, cenni di igiene minima. Tornai in cucina trafelato e vidi Gaetano che si baciava appassionatamente con una tipa, conosciuta la sera prima. Raulgardini stava parlando con un gatto. Era il loro San Valentino.
Un tipo mi chiese qualcosa, ma non lo capii. Dovevo avere una postura particolare, perché mi allungarono una sedia. Vidi quei due, completamente presi nelle loro azioni, per qualche minuto. Poi, vigliaccamente, afferrai la mia giacca ed andai via, senza parlare. Non tornai mai più in quella casa.
Da allora non mi va di festeggiare San Valentino.
Visto il proliferare di post sull'argomento (almeno qui non si festeggia! :D) vado di copia e incolla e mi scuso per la ripetitività:
RispondiElimina'Sto mondo è riuscito a far diventare antipatico il 14 febbraio a un romanticone come me...
non credo esista in tutto l'anno un giorno altrettanto pacchiano, consumistico, bovinamente conformista e vomitevole.
Regalate qualcosina al vostro amore ogni giorno, TRANNE per sanvalentino!
Oggi, sciopero. Contro la mercificazione e standardizzazione dei sentimenti.
Se non ora, quando?
p.s. piaceva pure a me, l'orzata... :-))
A me nemmeno...Ma per altri motivi meno drammatici dei tuoi.
RispondiEliminaMa dai, non gli hai detto niente?
RispondiEliminaA quest'ora a Gaetano sarà comparsa un'emorroide in bocca, cazzo. Poveretto.
E tu, che amico bastardo che sei.
ahhhhhhhh! proprio letterale fanculo san valentino! ;)
RispondiEliminanon ho capito tanto bene come da A tu sia passato a non-A.
RispondiElimina(benchè san valentino, come data inutile, stia solo mezzo gradino sopra al mio compleanno)
@ Zio: aderisco allo sciopero!
RispondiElimina@ Maniglia: peccato, saresti stata una perfetta Maniglia dell'Amore! ;)
@ Sileno: dici bene.
@ Petrolio: le metafore esistono per questo. :)
@ ciku: domanda morganiana che, me tapino, non ho capito.
nel senso... uno si visiona il didietro con un oggetto che poi finirà nella bocca di un altro. capisco il disgusto (e il senso di colpa) ma non il motivo che ti impedisce di festeggiare questo, ehm..., lieto giorno. ma probabilmente son lenta io.
RispondiEliminaevviva l'ammmmore!
http://www.youtube.com/watch?v=dAJUPevrY2w
Siamo lenti insieme.
RispondiEliminaConsiderando che non ci ha pensato nessuno/a a regalarmi alcunchè, il tuo pezzo è stato ciò che più si avvicina ad un pensiero.
Spasiba.
I miei san valentini li ho sempre passati in singletudine,o come si dice da me,in vedranaggine. Alla fine è un giorno come un altro solo che si vendono un macello di torte a forma di cuore...Comunque,almeno tu,non hai visto un amico che si infilava un wustel nel didietro...
RispondiEliminache ci fai con uno specchietto orale? Voglio dire, che ci fai con uno specchietto orale?!
RispondiEliminaio ho fatto addirittura volontariato in un oratorio.
RispondiEliminaNon so se mi spiego, UN ORATORIO.
mi vergogno di me stesso.
Errata corrige:
RispondiEliminaHo ricevuto 2 splendidi cadeaux, addirittura all'alba, addirittura di gran pregio, addirittura dalla sponda di un fiume. (e non è la prima volta).
E io, che sono spesso portato a rovinare le cose belle, me l'ero dimenticato. Vedete che faccio bene ad odiare il 14 febbraio?
Inviatore Albestre, mi ricaterinacaselleró.
Eddài, avresti dovuto dirgli qualcosa.
RispondiEliminaAl gatto, dico.
Robba del secolo scorso.
RispondiEliminaAnch'io li ricordo gli specchietti, ma poi passarono in disuso
San Valentino è roba per sfigati... poi mi è venuto in mente Gardini e l'America's cup, c'entrava il gatto ???
RispondiEliminaRaul diventerà (o lo è già stato) ministro della sanità
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