lunedì 29 novembre 2010

A mover la colite


E' poi vero che il primo motivetto che ascolti la mattina è poi quello che ti segna l'intera giornata?
Stamani sono stato, gentilmente, svegliato da uno di quei pezzi di latin-dance-house-trance (“solitamente un sincopato tunz tunz con l'invasato  ululante dal dente diamantato, qualche baldracca in movimento e il coretto festoso e tatuato sullo sfondo di qualcosa a metà strada tra una fazenda di salvador de bahia e le nozze d'argento di un boss di scampia” n.d.a.) di costui, insensibile alle mode tricologiche, a volume atroce, in modalità di frequenza scosciuta, il tutto a cura di Lei. 
Qualcuno ha il numero di telefono di Carla del Ponte?

venerdì 26 novembre 2010

Lei* non sa chi sono io. Biografia/1

Ettore Aldimari, figura controversa degli anni ’10, primo figlio maschio, nasce alla metà della seconda metà del secolo scorso in una località non del tutto amena, all'incrocio tra 2 paralleli, nel periodo tardo barocco, a cavallo tra collina e pianura, nei pressi della clinica privata A. Massaccesi. Prima di lui tutte le cose erano state create, per mezzo di lui alcune rischiavano di non esserci più. Alto fin dalla nascita, pasciuto quanto basta, estremo ed omologo, diafano olivastro, dimostra sin dalla tenera età una spiccata propensione per il dolce far niente, combinata con una strenua difesa dell'ossimoro, inteso come ultima spiaggia prima del Petrus. Visore notturno e camminatore al contrario, a 5 anni decide di riaverne 4, ottenendo dal Consiglio di Stato una sentenza destinata far dottrina. Quell'estate frequenta Scalea. A 6 anni spolvera un mobile. A 7 anni, ne apre un cassetto. Lo tireranno fuori 3 giorni dopo. Ai magistrati racconterà di aver avuto paura, ma era solo l'inizio. Assaggia il suo primo succo di frutta a 8 anni. Alla stessa età compra del polietilene ed avvia una battaglia sul 41 bis. Ha un padre.

Nel Nome del Padre.
Giuseppe Aldimari, un facoltoso non abbiente della zona bene della periferia, soprannominato 'O Defrag a causa di una basetta albina, lo instrada all'arte del suggere linfa di mangusta con la forza del pensiero. La cosa gli servirà nei primi anni di scuola per usurpare ai bidelli ipoteche su terreni incolti e per avvantaggiarsi nella cultura dello sverginamento delle supplenti tinte. Ex muratore, emigrato in Basilicata per far fortuna, si destreggia vendendo valigie in cartone con lacci all'uscita della Stazione di Milano nei primi anni '50. Grazie ad una fortunata joint venture con lo studio La Presse, diventa milionario prima, miliardario poi, milionario quindi ed infine squattrinato e poi nuovamente miliardario, acquistando e rivendendo modelli Colecovision all'uscita degli studi di Portobello. Ha lui l'idea di accusare Tortora, manipolando degli incarti di chupa-chups con la tecnica del pointillisme. Dopo alcuni anni tra galera e Palazzo di vetro dell'ONU, Giuseppe, che da ora in poi chiameremo DJ Hooker per una sostanziale somiglianza con Kirk Douglas, inizia a studiare Solfeggio presso il Conservatorio di Amsterdam, distinguendosi tra tutti gli studenti per la capacità  di eseguire il concerto per pianoforte e orchestra n.3 in Re minore di Sergej Rachmaninov con il solo indice. Per questo motivo, e per la nota cleptomania, è eletto per 3 anni di fila impiegato del mese nella locale Vegè, ottenendo il plauso del Sindaco di Amsterdam e la boriosa approvazione del senato accademico. La carriera di musicista si interruppe bruscamente quando Woodward e Bernstein, in vacanza gay friendly nei canali olandesi, scoprirono dei mangiadischi Penny nascosti abilmente sotto il paltò di Cluedo, l'inseparabile cagnetta che ha accompagnato DJH in tutte le esibizioni. Il tipo viene così allontanato dai Paesi Bassi e costretto a tornare mestamente nella terra natale, dove si arrangia, come correttore di coloro che dicono “Giovannotti” e “Murphy e Nike”. All'età di 15 anni compiuti, conosce Gary Sinise, ma non ne intuisce le capacità recitative e lo liquida con un “mi faccio sentire io”, di cui si pentirà per tutta la vita, tentando invano, poco prima del compimento della maggiore età, di sfondare nel piccolo schermo con un'opera in 3 atti intitolata “Volevo i pantacollant”1, liberamente ispirata alla vita di Salvatore Giuliano. Il pezzo, bistrattato da Giordano Bruno Guerri, omonimo del critico rauco, sulle colonne di Paese Sera con un'editoriale al vetriolo, riceve una misera Coppa Volpi a Venezia. Lo smacco subìto convince DJH a cambiare strada. Lo stesso Bruno Guerri, anni dopo, intervistato circa l'articolo che aveva stroncato il giovane autore, ricordò di non ricordare nulla e pretese che gli fossero rimborsati i costi di viaggio sostenuti per affrontare quell'intervista composta da una sola domanda. La causa è tuttora in corso. Terminati gli studi all’Istituto Omnicomprensivo Gina Lagorio di Boston, DJH incontra Mario Capanna, cedendogli il parcheggio in Corso Buenos Aires a Milano. La conseguenza di ciò fu che DJH si vide costretto a girare in macchina per più di 2 ore alla ricerca di un nuovo posto auto. La cosa lo colpisce a tal punto che quando esce “Formidabili quegli anni” decide di aspettare l’edizione economica. E fa sul serio.

 1 Armando Curcio Editore. Milano.


* mia moglie.

martedì 23 novembre 2010

Che vita è, ma come ho fatto ieri a fare tutto senza di te? ah, già, le benzodiazepine.


Nella foto, un po' di sano ottimismo


Lei è fuori con le amiche. Mi ha detto di non aspettarla. Ho del tempo da dedicare a me stesso. Ma non sono in grado di organizzarmi.
Il discorso non è nuovo, ma molti pensano che il Pocket Coffee non sia la panacea delle voglie di Irene Grandi. Trovo profondamente scorretta ed ingiuriosa la corrente di pensiero che vuole la cantante toscana desiderosa di sostanze stupefacenti (n.d.r. “droga”) al fine di migliorare sensibilmente tonalità e timbro vocale in “Per fare l’amore”. Altrettanto ingiuriosa è la parte di pubblico che sostiene la brama sessuale spinta (n.d.r. “concupiscenza carnale”) della singer fiorentina, avvalorata dalla presenza di un nutrito gruppo di musicanti di sesso maschile pronti a trasformare il furgoncino di Hugo Reyes in un’alcova che manco tra Peregallo e Oreno possono immaginare. Ho terminato i sinonimi per appellarla, se no andavo avanti. Anche perché non guasterebbe una bella frenata brusca dell’autista del minivan, considerato che la band se la spassa senza neanche una cintura di sicurezza.
Lo dico da anni che per pubblicizzare il disgustoso cioccolatino della Ferrero ci vorrebbe il John Coffey del Miglio Verde, che ne decanta la non scioglievolezza – “Pocket Coffee, come la bevanda, solo scritto in modo diverso” - mentre parte la sedia elettrica. Sarebbe di grande effetto. Ma i poteri forti non vogliono.
Il discorso è un altro. E’ che siete piuttosto cattivi. Consiglio più vivamente di convogliare la vostra pur legittima crudeltà verso il più benefico progetto di cambiare il mondo. Un mondo che non va tanto bene.
Il Dj Angelo lavora in TV e guadagna denaro, SKY ci delizia con il calendario di Sophie Howard composto da 36 mesi (in caso si dovessero incollare tra di loro 2 o più pagine, la sezione lifestyle della piattaforma satellitare ha evidentemente pensato ad ovviare il problema), il Sindaco di Terzigno si vanta di aver inventato il simbolo del PDL, Repubblica Salute mette in copertina due vecchi che pomiciano, il Diosmectal ha un senso nella mia vita, Renato Zero è eterosessuale, non c’è rimedio ad un costume da bagno bianco ormai ingiallito.

venerdì 19 novembre 2010

I problemi familiari vanno affrontati con decisione


E' l'epoca dei lacrimoni femminei, quelli grandi.

E'autunno, e le foglie cadono come l'autostima delle mogli, che si sentono grasse, vacche, smunte, zoccole, suore, negre, tibetane, cuoche, lesse, maccheroniche, bugiarde, sensibili, sentimentali, stronze, sincere, oroscopodinternazionalizzate, fetenti, glabre, ingenue, tenaci, madide.

E poi sporche, solari, cazzute, arcigne, melliflue, solangiche, miracolate, felicemente sposate, prossime alla separazione, insoddisfatte, catatoniche, migliorabili, cariche, assidue, frigide, muscolose, flaccide, cardiopatiche, bioritmiche, scintoiste, pilatesche, pilatesi, moccaccine, corroborate, clitoridee, idealiste, carragenine, umide, vogliose, chiuse, benpensanti, colleriche, simpatiche, democristiane, gay, omofobiche, catapultate in questa realtà dal Dio cattivo e noioso preso andando a dottrina, grassissime, magrerrime, arrendevoli, calme, mutevoli, mutabili, mute, chiassose:
Ma anche progressiste, pasticcione, serene, ivana la serba, foggiane, criptiche, piangenti, civitavecchiesi, millantatrici, streghe, puffe, buffe, colorate, macchiate, lunghe, corte, sacrileghe, blasfeme, masturbatrici, disturbatrici, comiche, cosmiche, vaginali, dispeptiche, fungine, emozionali, emozionanti, emofiliache, massaggiatrici da 2 soldi, uniche, multiple, karmiche, indaganti, indifferenti, sadomaso, santommaso, sante, puttane, clamorose, belle, brutte, finiane, spinose, proisraele, calmucche, vegane, cilindriche, ubique, morbide,.
E perchè no, senzatetto, gommose, deboli, maniache, generose, precarie, maleodoranti, regine, saffiche, cardinalizie, mitiche, pessime, gattine, lattine, mappine, razziste, esaurite, indù, cannibali, sorridenti, megere, gufi, muffose, tarantolate, dormienti, democratiche, spolveranti, polverose, couperosee, esaminatrici del profondo umano, oniomani, idiote, misantrope, misogine, misteriose, indisposte, disposte, lunatiche, autrici uniche del “chi sei?”,.
Infine oniriche, socratiche, serafiche, fiche, azzardate, sedicenti, colme, vuote, allergiche, poetiche, dominatrici, zuccherine, psicopatiche, antipatiche, empatiche, mitologiche, enterocoliti che, cacofoniche, ridondanti, metempsicotiche, adorabili, detestabili, illogiche.

Allora, cosa fare?

1° scelta: cercare uno per uno quelli che hanno messo la faccia di cazzo del cartone animato sul profilo di facebook e dire loro che contemporaneamente ad Haiti si muore di colera. Che c’entra? Nulla, ma il senso di colpa va equamente distribuito.

2° scelta: perdere egregiamente tutto il tempo possibile a giocare a Diamond Run, che ti hanno fatto riscoprire iersera. 



Godo. Da solo.










Ettore.

sabato 13 novembre 2010

Logopedia for dummies

nella foto il Dr.Mario Ncanningam

Io odio Andrew Howe
Il mistero dei Misseri
Aung San Suu Kyi senza veli su Chi
Sei satrapi stuprano Meryl Streep
Io odio davvero Andrew Howe

venerdì 12 novembre 2010

Storia triste per giorno autunnale



Verrà un giorno.
Il giorno in cui controllerà tutte le vostre riviste di enigmistica. E verificherà che le vostre parole crociate siano davvero complete, i vostri Il Confronto abbiano tutti i segnetti fatti, gli Aguzzate la Vista abbiano davvero dimostrato che, voi, la vista aguzza ce l’avevate davvero.
Vi frugherà nelle tasche, e quando vi troverà quei biglietti da visita a L non potrete mentire, né sulle macchie di giardiniera sul bavero della camicia, nè su quel buco sul pile.
Vi stanerà la notte e il giorno, mentre con unamanounamano vi sfiorate. Piccoli e insignificanti batteri di escherichia coli.
Ripasserà tutti i solitari che avete fatto, le piramidi, i - 10, parie e dispari, la stella. E non ce ne sarà per nessuno. Quanti cazzo di campi minati avete sprecato. Quante volte avete annuito su libri non letti, dischi non sentiti, film non visti, storie non vissute, temi non fatti.
Lo sa. Vi ha sempre visto.  Quando avete schiacciato l’unghia incarnita di quel ragazzo. C’era.
Che poi, alla fine, a cosa ci è servito tutto il resto? A che serve ricordare la matematica, Playboy Show, Tandem? Le persiane, il trasformatore del Commodore, la soluzione schoum? I divani verdi, i colori delle Fiat, quante seghe, quanti nei, quanti neon? Che poi, come ci si sente dopo? E a cosa serve il condizionale?
Comunque c’era. Quando la volevate morta, quando pensavate che se non aveste toccato quel muro sarebbe successo qualcosa di brutto, quando vi sentivate l’ultimo pezzente, quando non dicevate quello che pensavate, quando non pensavate quello che dicevate.
Che quella volta, se vi avessero fermato, erano cazzi vostri e di vostro padre.
Che il giorno dopo era tutto passato. Che il giorno prima poteva non esserci.
Che quello lì, eh si, porta sfiga.
Lo sa. Sa cosa pensate di quel vicino di casa, della collega bionda, di quel tipo col bastone.
Sa di quell’esame rubato. Sa di tutte le volte che non ci avete provato, ma che potevate.
Sa tutto, sa troppo.
Quando arriva, quindi, prendetelo alle spalle, se avete il coraggio.
Se no, scappate.