Secolo scorso. Stiamo procedendo lenti nel traffico. Di fianco a me c’è G., e sulle gambe di G., che attualmente tenta di sfondare nel teatro d’avanguardia, c’è una sedicenne dall’aria sbarazzina, coi capelli rossi legati, appassionata di trash metal. Oggi è architetto.
Dietro, altre quattro donzelle, in piena fase “teenager no-global, fight da faida, testamentoditito, preferisco non usare il deodorante”. Una di loro è diventata una fotografa affermata, un’altra anni dopo l’ha data ad un intero condominio di universitari strafatti, la terza somigliava alla Palthrow, la quarta no.
Alla guida, io. Di una centoventisei. La mia prima auto. O qualcosa che somigliava ad una prima auto.
Si tornava da una manifestazione, ministro boia, e tutti quei luoghi comuni e comunisti, con la sola voglia di spaccare il mondo al fine di conquistare donne col fascino di chi ha letto le prime 3 pagine del Capitale e sa chi sia Rosa Luxemburg. Dal groviglio di manine affusolate sul retro si cerca di creare un qualcosa che somigli ad uno spinello. In mancanza di autoradio, la colonna sonora è il jingle del The Twinings, come è ovvio che sia quando in 2 metricubi la quantità di ossigeno è pareggiata da quella di tiaccacì in combustione. I deflettori soffrono un po’ troppo.
All’altezza del quartiere più squallido di una delle città più squallide d’Italia, incrociamo una Pattuglia. Pattuglia è un termine, di per sé, orrendo. Un misto di pattume e poltiglia. Associarci anche il pericolo di farsi beccare la rende parola pericolosissima. Non ci avranno visti, dice G., dimostrando come i maschi non abbiano la benché minima capacità premonitrice che invece alcune donne, in special modo quelle alte 1,58 mt, possiedono. Lo spinello in progress scompare all’interno di una kefiah sporca.
L’Alfa 75, frena, fa inversione a U, ci lampeggia. L’uomo in divisa si avvicina al finestrino e ci chiede di scendere.
La macchina dei clown. Uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette imbecilli. Quando l’appuntato chiede “Basta così?”, G. dice “No, ce ne sono altri 2 nel posacenere”. In quell’attimo ho immaginato di essere al cospetto del tenente Mattia Levi Goldstein. Tutto stava andando più che male.
Il graduato è furibondo. Blatera qualcosa in un dialetto incomprensibile ai più (la rossa sosteneva fosse tarantino, io sostenni che si doveva ficcare l’anfibio in bocca). Se avesse potuto mi avrebbe sparato ad una gamba.
Il sottoposto è tronfio. Prende il blocchetto dei verbali, si accomoda sul cofano dell’Alfa. Quanti articoli, quante norme violate. E poi, quegli occhi rossi. Vi distruggeremo, bastardi.
Il tenente prende la mia patente e legge l’indirizzo. Ha un attimo di esitazione. Tituba. Mi chiede se, per caso, trattavasi delle case di edilizia popolare.
Non erano affatto le case popolari. Abitavo da tutt’altra parte. Ma non ebbi timore alcuno ad annuire, perso per perso. Abbassai anche il capo, contrito, pentito, umile.
Lo Stato italiano si mosse a compassione e ci lasciò andare, sine multa, ovviamente in 4. Le altre 3 tornammo a prenderle dopo poco. Quel pomeriggio brindammo, l’unica volta nella mia vita, allo Sbirro Ignoto, che aveva avuto pietà di un finto essere.
Intanto, quel finto essere, lì per lì, ebbe l’illuminazione. A quest’altro non è venuta:
Lo fermano i Carabinieri e lui ingoia l'assicurazione
Pescara. Non ha avuto alcuna esitazione a masticare ed ingoiare il tagliando dell'assicurazione davanti ai Carabinieri, che lo avevano fermato per un posto di blocco. Protagonista della vicenda un 35enne di Montesilvano, fermato dai militari per un normale controllo stradale. Probabilmente si trattava di un contrassegno falso o contraffatto; l'uomo comunque rischia la denuncia ed ha avuto il sequestro del veicolo. qui