venerdì 30 dicembre 2011

Intanto, a Mosca.


Una delle regole della netiquette (burp) ci impone di evitare la correzione, in chat o forum, di errori grammaticali altrui. Coosa? Netiquette, non puoi farmi questo. Ho violato, inconsapevolmente, decagrammi di volte questa norma. 
Allora, visto che ho già la coscienza sporca ed è fine anno, passo a violare un'altra regola. Quella sulle discriminazioni.

In tutto il mondo vanno in onda gli episodi del Detective Monk. 
Il personaggio collabora con la polizia, perché in realtà è un ex detective, ed è preda di disturbi ossessivo-compulsivi. Monk ha parecchie fissazioni ed alterna continui tic nervosi. E' la sua peculiarità, e lo rende particolarmente interessante.
In tutto il mondo la serie ha il titolo di "Monk".
In Italia è "Detective Monk". Perché noi abbiamo bisogno di avere le idee chiare a partire dai titoli.
In Giappone "Il Grande Detective Monk". Per un popolo di brevilinei come il loro, chiunque è grande.
Nella Repubblica Ceca è "Il mio amico Monk". Questa apertura mentale mi sfugge, ma mi fa piacere.
In Russia il titolo della serie è "Monk, detective difettoso".
Proprio difettoso, come fosse un frullatore fatto a Tirana.
I russi non vanno tanto per il sottile. Ai russi non gliene frega nulla di ciò che pensano di loro nel resto del mondo.
Il rappresentante di uno dei partiti d'opposizione, tale Udaltsov, è stato arrestato dalla polizia di Mosca per aver attraversato la strada fuori dalle strisce pedonali. L'hanno condannato a 5 giorni di carcere, durante i quali si è ammalato di non so cosa, ed ora rischia di morire. E non sanno ancora che a volte parla al cellulare in macchina.
Mi piace molto la democrazia di quelle parti. Al confronto Piazza Tahrir è la Città della Domenica. E che diamine, manco ci fosse un ex KGB al governo. I russi sono fatti così. Settant'anni di comunismo non li hanno per niente addolciti. 
Ho capito qualcosa dei russi quando ho visto la loro arte marziale principale. Si chiama Systema. Non si tratta di un attrezzo per gli addominali su mediashopping. Si tratta di botte. Nessun calcio volante, presa del dragone, spazzate. Solo botte. Niente filosofia di base, cinture, dan. Botte a volontà. Date anche lentamente, tra l'altro. Così.
Ma perché oggi ce l'ho coi Russi? Non lo so. Forse perché una mia amica ipovedente ha detto che somiglio a Ivan Drago.
Forse perché le poliziotte non hanno capito come ci si comporta.


O forse perché mi hanno proposto di imparare il russo, a partire da una convenientissima app che mi costerebbe solo € 2,79. 
Ma io non lo voglio imparare, il russo.

с Новым годом.

sabato 24 dicembre 2011

Il post di Natale che non avrei mai voluto (e dovuto) scrivere.


Sabatu, na ballada.
La canzone più venduta, in questo momento, in Italia inizia così. Tra qualche ora queste parole riecheggeranno nelle vostre orecchie. E’ il segnale che il conto alla rovescia verso l’inevitabile declino della società contemporanea è iniziato. Per me è iniziato stamattina.

Se mi vieni incontro con aria compiaciuta da ventottenne fuoricorso da tutto, allargando labbra labellate per mostrarmi tanti denti quanta ipocrisia, e mi allunghi la mano per salutarmi, posso passare sopra al fatto che:
- la tua mano abbia una presa di poco inferiore alla forza che mette la Montalcini per picchiare la donna delle pulizie;
- tu stringa in sostanza solo le mie dita, lasciandoti il palmo della mano a un più confortevole, e poco maschio, stazionamento nella manica della maglietta "arionautica militare";
- la tua mano stia producendo sudore a nastro, come una catena di montaggio di quelle minicar che fanno guidare chi ha un occhio solo, miope;
- l'operazione "stretta di mano" duri alcuni secondi più del dovuto, creando quell'adorabile effetto simpatiche canaglie anni '20 vs. cassius clay;
Ma.
Ma, c'è un ma.
 
Se però senti il bisogno di confessarmi che hai un virus intestinale, che stanotte blabla, ecco, hai qualcosa che non va. Non che io sia ipocondriaco, ma avrei voluto darmi fuoco alla mano, al polso, all'ulna, al radio. Ma soprattutto avrei voluto dare fuoco a te. A te e ai tuoi ormoni della crescita iperanabolizzati.
Per te niente regali di Natale.
Quest'anno volevo comprare solo regali di natale con la scritta "visto in tv" sulla confezione. La mettono come se fosse un pregio. Bè, l'ho visto in tv, dev'essere per forza di qualità. Come quelli che "ma stava su google". Oppure, "Facebook in rivolta contro il razzismo".
Allora ho cercato i "visto in tv". La cosa più interessante era un dispositivo che toglie i peli superflui grazie a dei flash. Pare che sia utilissimo. Certo, come l'elettrostimolatore che comprai dieci anni fa. Il braccio destro mi scattava ogni 2 secondi, anche ad apparecchio spento. La pancia si era indurita. Mentre un crampo mi perforava il polpaccio. Anche quello era un "visto in tv".
E allora i regali di Natale saranno questi:

Insegna a tuo figlio come scontrarsi con le più pericolose cosche mafiose d'Italia. All'interno una testa di pony mozzata ed un simpatico pilone in cemento scala 1:1000 nel quale inserire i tuoi personaggi preferiti.



Per rinvigorire il rapporto con il partner, per Lei, la collezione "Animali", sei simpatici cavalli che si ingroppano a vicenda, per stuzzicare le fantasie erotiche che il tuo uomo riserva solo alle vogliose milf di youjizz.


Se la tua donna preferisce le riunioni Tupperware ad un tête-à-tête col suo uomo, per Lui, i pratici sacchetti profumati, utili, almeno, a ritemprare l'olfatto.

Al momento ho esaurito le protesi in seno made in France, quindi rischio di restare a mani vuote. Per tutti, però, ho un pensierino. Eccolo. Buone feste.

venerdì 16 dicembre 2011

Il bue, l'asinello, l'analista e i looney tunes.


"Stai benissimo con questa pettinatura, cara"
"Dici? a me sembra un po' antiquata"
"Beeello 'sto vestito. Dove l'hai preso?"
"Questo? Ce l'ho da setteotto anni. Non mi piaceva neanche. Ora va."

Non è granché il livello, lo so.
Ma è quello che mi tocca ascoltare da mane a sera.
L'alternativa sarebbe leggere gli appelli dei programmatori di wikipedia. Ryan, Ron, Kurt, tagliate i capelli, dài.

Poi c'è Transfert.
Transfert è il mio Collega. Con la C maiuscola.
Nel percorso di reincarnazione, Sigmund Freud, morto nel 1939, è rinato come figlio di una sua paziente schizofrenica. Questo uomo è a sua volta morto di cirrosi nel 1984, reincarnandosi in un pincher, travolto due anni dopo da un'Arna verde all'altezza di Colfiorito. Lo sfortunato cane si è, dunque, reincarnato in Transfert, il mio Collega.

Tutti lo conosciamo, Transfert, anche tu che mi leggi per la prima volta, pervaso da quel senso di "ma che cazzo scrive questo?" che poi diventerà un "bah" 9 righe più giù. Non temere, sarà un pessimo Natale anche per te.
Transfert, dicevo.
Interpreta i sogni, anche se non glielo chiedi. Cerca di interpretarti anche i pensieri. Sicuramente i concetti espressi a metà.
Io odio l'interpretazione dei sogni.
"Sogno spesso delle porte in legno"
"Sognare porte indica una fase di passaggio che non riesce a completarsi. Il corpo chiede cautela, la mente è meno timorosa. Non riesci a chiudere una questione aperta, pur consapevole che oltre c'è qualcosa che ti aspetta"
"Ma io veramente faccio il falegname"
"Non c'entra"
"Ah."
Ecco com'è Transfert.
 
Capita di rado in ufficio, ma desidereresti per lui un precariato ancor più penalizzante.
"Buongiorno, capo"
"Ora sono impegnato"
"Dimmi: preferisci l'acceleratore o il freno?"
"Ma che domande sono?"
"Dimmelo"
"Il freno"
"Questa risposta indica una vita votata al non esaudire i tuoi desideri. Tu freni, anziché accelerare, perché temi il rischio"
"Ma non hai altro da fare?"
"La tua aggressività è la peculiarità delle personalità ambigue. Sei un gemelli, vero?"
"Vattene"
"Ascendente? Scommetto sagittario, vista l'irritabilità. Cosa mi dici?"
"Che se non te ne vai, prego per noi peccatori e mi pento di ciò che mi appresto a fare"
"E' inutile che cerchi di graffiarmi. Come dice la bella canarina Titti -mi è semblato di vedele un gatto!- ihihih!"
"Titti è maschio, idiota"
Non dovevo dirglielo. Almeno non sotto Natale.
E' andato via in lacrime.

giovedì 8 dicembre 2011

Giù Porn


I miei vicini di casa hanno deciso di avere un altro figlio. L'ho saputo rientrando in casa alla pausa pranzo del martedì. No, non ho incontrato lui in ascensore, né lei alle prese coi volantini dell'ennesimo discount ad intasare la cassetta della pubblicità. Li ho semplicemente ascoltati, mio malgrado, senza neanche il bisogno di appoggiare l'orecchio alla parete della sala. Erano circa 5 anni che non avevo questo piacere. Gatti scuoiati. Lui si mantiene sul mugugno da primate, ed immagino inarchi le labbra mentre la fronte madida gli impedisce di mettere a fuoco la scena laocoontica. Lei è un'artista. Senza ombra di dubbio. Non so dove abbia studiato, ma è proprio brava. Non si capisce bene quello che dice, ma si capisce bene cosa stia facendo, soprattutto come. Inizia a bassi ritmi, ma cresce rapidamente, a cadenza di 60/70 colpi al minuto, per la durata di un quarto d'ora buono. Geme, afferma, conferma. Si ferma. Riparte. Utilizza tutte le vocali. La "u" un po' meno. Infatti vale 3 punti. Nel mezzo si possono anche ascoltare rumori di sottofondo tipici: piedi di tavolo che si muovono, testate del letto che sbattono al muro, testate di lui che sbattono su di lei. Una volta udimmo un chiaro "ahia!", a cui seguì un rumore come di oblò di lavatrice che si chiudeva. Dev'essere stata la famosa posizione della centrifuga.
Tutto ebbe inizio nel lontano 2005. Avevamo da poco comprato casa, e mia moglie decide di invitare ospiti per un tè pomeridiano. Una fetta di crostata all'albicocca, una manciata di biscottini in pasta frolla, una chiacchierata sui massimi sistemi, due convenevoli. Tra dicerìe sulle proprietà del tè nero e un aneddoto sulla Tunisia, d'un tratto dal piano disotto arriva quello che sembra l'audio smodato di un porno di serie B: ouverture di molle permaflex e gemiti esteuropei. Gli ospiti si guardano, ci guardano. Io provo a coprire il tutto con colpi di tosse, ma non ce la faccio. Poi chiudo: "In questo condominio si fa molto all'amore". E continuiamo a chiacchierare, come se niente fosse, noncuranti dell'amplesso libero, senza freni, umido, che si stava consumando al piano terra. Durò tutto qualche mese. All'ora di pranzo, prima di cena, a notte fonda. Alla fine riuscirono a concepire un riccioluto bambino. E finì il sesso selvaggio e schiamazzato. Più nulla. Fino a martedì scorso, quando è riemerso dall'oblìo il Condominio dell'Amore.
 

 Il Livello audio è questo.

venerdì 2 dicembre 2011

Rinchiuso in casa a prendere appunti, mentre fuori impazza la tisanoreica




nella foto: la seconda fase

Costantemente compro lavagnette e bacheche in sughero. Sento l'impellente bisogno di appuntarmi cose, fatti, appuntamenti. Ma il proposito dura un battito d'ali. Puntualmente disattendo tutto, perdendomi tra post-it ed appunti sparpagliati. Le mie tasche, un tempo pullulanti di biglietti del treno tagliuzzati e monete di basso valore, vanno pian piano riempiendosi di sigle e note. Cosa vorranno dire? Al momento dell'appunto ero sicuro del loro significato. Ora no. Un po' come la mia rubrica del cellulare. Marco 320-2568***. Marco 335-2124***. Marco 349-5589***. Perfetto. Sono un genio della catalogazione. Avrei bisogno, è indubbio, di dotarmi di un metodo efficace per gestire tali informazioni. (se solo la vicina di casa potesse sminuzzare il supporto magnetico con voce di Antonacci che urla in questo momento, potrei sicuramente fare meglio. Ma il suo cuore è elastico, quando spinge troppo in fondo, restituisce. Ma cosa abbiamo fatto di male?).

Ora ho deciso di comprare un'agenda. Lo faccio ogni fine d'anno e poi mi fermo al mese di febbraio. “comprare switch”. “scaricare Always on my mind”. “chiamare Marco”. Marco chi? E siamo punto e a capo.
Parto dall'anagrafica. Siamo alle solite. Numero del passaporto: non ce l'ho. Numero della patente: ora è al piano di sotto, lo cerco dopo. Gruppo sanguigno: ….mmmh........ zero qualcosa. 

Primo appunto: cercare ultime analisi del sangue per estrapolare gruppo sanguigno. Tre anni fa. 

Secondo appunto: rifare analisi del sangue.
Indirizzo email: quale ci metto, ora? Quello puttana che ho fatto nel '98 ed è ora la terra di nessuno, tra peni da enlargare, rolex a 20 euro e proposte di lavoro dall'Azeirbagian? Oppure quello istituzionale? O quello segreto, talmente segreto che non mi ricordo più la password?

Segni particolari: aiuto. Odio definirmi. Poi, su un'agenda. Preferisco lo facciano gli altri. Si, ma gli altri chi?

Terzo appunto: individuare esseri umani in grado di descrivermi. Ma non solo per l'agenda, che tanto dalla metà di febbraio prenderà polvere tra il caricabatterie di 5 telefoni fa e la vecchia pipa di papà.

In realtà ho scoperto per quale motivo devo trovare qualcuno che mi possa definire. I casi sono due.
Uno. Mi macchio di un aberrante crimine: in questo caso credo di aver individuato nella signora che si occupa delle pulizie nell’ufficio un’ottima intervistata da tg. “Mi sembrava un brav’uomo. Sempre sorridente. Mai visto nervoso. Io non ci credo ancora”. Questo direbbe, sono certo. Ecco, ad ogni modo, devo istruire lei. Perché è importante, in questi casi, ciò che emerge dai tg. Più di quello che risulta nei tribunali. Appunto: la signora delle pulizie darà la mia definizione all’Italia, in caso di crimine da me commesso.
Due. Mi ammazzano, in modalità cruenta: in tal ipotesi, scelgo il barista. Quello innamorato della mia collega bionda. Con la scusa di poterla vedere, ogni mattina, mi dà confidenza e scambiamo due chiacchiere su politica/cultura/hobby e sport. Siamo diventati amici mattutini. “E’ pazzesco, ancora non me ne capacito. Non se lo meritava. Una persona buona”. Le sue parole, più o meno, sarebbero queste. Sinceramente commosso, anche per il mancato incasso di circa 30 euro al mese.

Credo che così se ne possa uscire dignitosamente. Definito a metà tg da un semisconosciuto quasi in lacrime. Che uscita. Male che vada, nel caso non dovessero trovare nessuno, possono sempre chiedere notizie particolari a qualche mio amico. Tipo Marco.

giovedì 24 novembre 2011

Ho conosciuto uno ricco, ma avrei preferito del fluticasone propionato



Il 12/01/2009 nello Zimbabwe fu messa in circolazione una banconota del valore di 50 mila miliardi di dollari zimbabwiani, pari a circa 30 dollari USA. C'è un po' d'inflazione, da quelle parti. Ed io che mi lamento se, quando sto per prendere sonno, mia moglie mi sussurra a 90 db che è ora di comprare un congelatore. C'è di peggio, nel mondo. Io poi  le dinamiche dell'economia non le ho mica capite. Mi sento come quello che viene invitato da un amico sotto all'ombrellone già occupato da una rodata comitiva, la quale inizia a parlare in gergo, con modi di dire, risatine, ammiccamenti, cenni onomatopeici. Cerchi il tuo amico, ma è scomparso. Ti controlli le unghie, ma non le hai mai avute così a posto. Poi provi a prendere il cellulare, ma non c'è campo. Ecco, proprio così. Mi sento come la logopedista di Filippo Timi.

Ad un corso di formazione, l'altro giorno, una docente sosteneva che la crisi è un falso problema. Lo dimostrano i negozi stracolmi e le slot sempre occupate. Ma soprattutto le sue Hogan. Credo invece che la situazione non sia per nulla facile, ed i tempi grami sviluppino nell'italiano una fantasia senza pari. Una fnai. Siamo un popolo  di creativi, non c'è dubbio.
Leggiamo cosa hanno fatto i nostri connazionali, ultimamente, per sbarcare il lunario.

Hanno rubato liquori e generi alimentari per un battesimo. L'acqua spero ce l'abbia messa il prete. (
silvi marina)

Hanno rubato tombini. Quelli tornano sempre utili quando non sai cosa regalare a Natale. (colleferro)

Hanno rubato la serratura di una porta. Quando il mezzo diventa fine. (cagliari)

Hanno rubato due biciclette per andare in discoteca. Che è un'aggravante.  (terni)
 
Hanno rubato binari. Attaccàti ad una catenina fanno la loro figura. (licata)

Hanno rubato dei coniglietti, ma non la tartaruga. Che strano. (brescia)

Hanno rubato 200 tartarughe. Ecco. (siracusa)


Questo è quello che succede altrove.

Negli ultimi tempi, mentre la nazione affonda come un bolo di leguminose e monk's nell'esofago di un magnaccia vegano, io ho avuto un gran daffare con questioni "altre", che hanno riguardato il futuro di esseri viventi. Così la voce di Mentana, lo strombazzare dei clacson la notte delle dimissioni, la blogroll, il ridacchiare del popolo pro divenuto anti, gli scompensi cardiaci, il fiorellume televisivo, hanno fatto da distratta colonna sonora alla mia vita, e non ci ho fatto caso. C'era dell'altro. E posso dire di andare orgoglioso di quello che ho fatto. È stato un periodo molto intenso, e non è ancora finito. Poi, come in tutte le epopee, anche qui c'è stata una piccola macchia, lo confesso. Faccio coming out. Era una serata umida. Uscivo dalla libreria. Non me l'aspettavo. L'ho visto da lontano. Ho riso. Poi non ho resistito e gli ho chiesto un autografo. Lui ha estratto la sua Montblanc da quattromilaeuro e mi ha fatto una dedica. L'ho letta e mi sono chiesto: "Perchè?". Se siete forti di stomaco, accomodatevi.

sabato 19 novembre 2011

Di Aders



Fiero. Orgoglioso di me stesso. Soprattutto comodo. Comodo e sfamato. Occidentale a tutto tondo. Davanti alla tastiera, miope. Non la tastiera. Io. Tronfio batto tasti, poi controllo la mia posta, poi torno ai tasti, alle parole, aggettivi, verbi da coniugare, sinonimi di sinonimi da trovare, stupire, annoiare, infastidire. Le idee meravigliose della sera, appunti indeformabili che diventano carta straccia del mattino. Sorprendenti come un film di rete 4.
Pensi di essere oltre. Non sai che in ogni punto di questo strafottente pianeta c’è qualcuno che fa qualcosa e non gliene frega una mazza di te. Gli altri.
Eccolo, uno sta innaffiando il prato. A duecento metri una quindicenne ha appena aspirato una serie di particelle di amianto. Mille chilometri a nord una suora sta facendo l’amore come non ha mai sognato di fare. Nello stesso istante a Caracas un uomo di 65 anni sta rapinando un negozio che il giorno dopo avrebbe chiuso per fallimento. A Frisco due sposini stanno ordinando un hot dog. Nella kamchatka, bambini che giocano a baseball con la carcassa di un gatto. Sul mio stesso pianerottolo una donna litiga al telefono col suo uomo. A San Paolo un pompiere depresso sta prendendo in braccio una bambina, tra le fiamme di un asilo.
Scene di codardia, disillusione, affetto, indifferenza, scorrono contemporaneamente nello stesso istante in cui sto scribacchiando qualcosa sul mio insulso computer. Credendomi chissà chi. Qualcuno dimostra di non essere nessuno, un altro è , invece, la quintessenza del coraggio.
Quanto coraggio hai avuto, fin d’ora? Poco. E le poche occasioni le hai dimenticate quasi tutte.
Non sono in grado di raccontarle senza esagerare nei particolari, e monterei storie che non avrebbero né capo né coda, tanto sbiadito è il ricordo. Uno, però, c’è ancora.
Ero da troppi minuti alla cassa aspettando che il barista mi chiedesse cosa volevo. “Quel” barista era un cinquantenne, ingrassato e impresentabile, che sfoggiava una celtica sul collo e lo slogan “Memento Audere Sempre” sull’avambraccio. Si, scritto così. Sempre, non semper. Una gara d’imbecillità tra lui e il tatuatore. Vinta, per un soffio, da lui. Probabilmente mi avrebbe volentieri preso a schiaffi, facendo sbattere la mia testa da fricchettone contro il frigo dei gelati. E così non si avvicinava alla cassa, quasi gli facessero schifo i miei spiccioli per Diana Blu e Vigorsol. Continuava a servire derelitti diagonali al bancone, lanciandomi un paio di occhiate di disprezzo. Erano passati 20 minuti, o forse erano solo pochi secondi. Gonfiava il petto e scuoteva la testa, svuotando un campari per metà fuori bicchiere. Allora poggiai la mia tracolla sull’avancassa. In piena trance, pervaso dall’adrenalina. Mantenni il sangue freddo. Lo vidi chinarsi per prendere qualcosa dal basso. Mi dava le spalle. La tracolla andò a coprire il portaresto in plastica trasparente che ospitava alcuni accendini in bella mostra. Alla destra di quell’aggeggio kitsch, un mazzo di chiavi, con l’etichetta “ingresso bar”. Un lembo della borsa lo coprì. Gesti rapidi, post adolescenziali, quando si ragiona sulle possibili conseguenze di un gesto un attimo dopo averlo fatto. Presi il mazzo di chiavi, che scivolò nella borsa, e uscii da quel posto denso di tanfo e nazionalismo. Quelle chiavi giacciono, ancor oggi, sul fondo del lurido fiume che attraversa la mia città.
Andando a dormire, quella notte, non sapevo cosa stesse succedendo a Lodz, a San Teodoro, a Kahnaur. Sapevo però, e questo mi faceva stare bene, che un ignobile barista stava cercando di ricordare dove avesse messo le chiavi del suo bar di merda.

sabato 12 novembre 2011

La chiarezza nella coppia e altre cause del default

Cosa fanno i tedeschi mentre affondiamo? Allevano animali da fattoria

Non c’è niente di peggio di una fila scomposta di persone infreddolite, in attesa di fare lo scontrino per un misero piatto di carne cotta e pane stantio scaldato. Ma pare andasse fatto a tutti i costi. Il paese, arroccato sulle montagne, ospitava una manifestazione che sarebbe stata dimenticata di lì a 2 giorni. Qualche coverband, artigianato locale e etnico. Ma tutti, e dico tutti, avevano deciso di farvi visita. Perché un sabato di novembre non è tale, se non aspetti il tuo turno per un’ora e mezza tra Refrigiwear e cappellini peruviani. Una persona che conobbi nel millennio passato era bravissima a saltare le file. Si incuneava di lato. A un tratto spariva. Rimaterializzava la sua sagoma a un metro dalla cassa. Si mimetizzava con l’ossigeno. In 5 minuti risolveva file di 40 metri. Ecco perché ci odiano i tedeschi, oggi. Non è per lo spread, i sovrapprezzi in riviera e Badoglio. È perché noi saltiamo le file. Non le sopportiamo. Abbiamo un‘andatura a imbuto al contrario. Pochi dietro – massa informe avanti. 

Dicevo. Freddo pungente. Fame. Telefoni che non prendono. Macho macho men in loop. Un quadretto da ultimi giorni di Pompei. Cosa poteva darmi il colpo di grazia? Due, dietro di me. Lei, fuoricorso di psicologia. Lui, fuoricorso a tutto tondo.

“Io sono ancora scossa per quella battuta tua, che mi hai fatto a luglio”
“Quale battuta?”
“Quella lì. Non mi sono ripresa.”
“Ma che ho detto?”
“Ora fai finta di averlo dimenticato. Comodo, così”
“Ma è una cosa che ti ha offeso? Perché non ricordo nulla.”
“No. Mi hai detto una cosa che credevi tranquilla, ma io mi sono sentita molto ferita”
“E ricordamela”
“Molto ferita. Non me l’aspettavo, da te”
“Ma riguardava il tuo aspetto?”
“Molto ferita. Scossa, ecco la parola. Molto scossa”
“Dammi qualche indizio”
“Una cosa che mi hai detto. Io poi mi sono allontanata. Ero scossa”
“Si, ho capito che eri scossa. Ma riguardava cosa?”
“Ci ho pensato tutti ‘sti mesi. Sei stato indelicato”
“Mi dici, all’incirca, l’argomento? Forse ero ubriaco”
“Molto scossa”
“Relativa ad un tuo modo di fare?”
“Allucinante. Una battuta allucinante, guarda.”
“Ok, ma l’argomento?”
“Non puoi sapere quanto c’ho sofferto”
“E no, che non lo so. Non ci vediamo da luglio. Non ne ho idea”
“Il tuo subconscio ha voluto rimuovere. Ma intanto me l’hai detta”
“Ci ho provato con te? Ti ho messo le mani addosso? Sono stato volgare?”
“Peggio”
“E?”
“E sono rimasta molto scossa”
“Posso rimediare?”
“……………….”
“Se non mi dici nulla, come faccio a ricordare?”
“……………….”
“Vabbè, resta zitta e non parlare.”
“Rimasta scossa. Una battuta allucinante”
“Se ti ho offeso, mi dispiace. Anche se non so cosa possa aver detto, ti chiedo scusa. D’accordo?”
“D’accordo”
“Bene. Certo che la fila è lunga qui”
“Mi hai ferito molto quel giorno. È stata una frase molto brutta.”

A questo punto avrei potuto prenderli a gomitate. Il giudice mi avrebbe dato ragione. Ho preferito sfondare centralmente la fila. Dovevo andare via da lì. C’è stato del panico, per qualche istante, qualcuno è caduto. Una donna del luogo in età avanzata mi ha rivolto contro epiteti ingiuriosi in dialetto. Ma io, no. Non sono rimasto scosso per niente.