martedì 31 luglio 2012

Hindi per cui


Uomo indiano che sei seduto al mio fianco, se solo io potessi conoscere la tua lingua.

Forse ti chiederei cosa ti ha spinto ad abbandonare le affollate rive del Gange per giungere sulle coste del Belpaese.
Se sapessi parlare in indiano probabilmente ti domanderei di descrivermi le straordinarie ed universali bellezze architettoniche del Taj Mahal.
Uomo indiano, perchè non mi posso far capire? Potrei chiederti, chissà, di narrami la storia della tua martoriata terra, le intricate strade di Calcutta, il tramonto purpureo che colora le colline di Bombay, il formicaio umano nel sottobosco di Delhi.
Quanto avrai sofferto, uomo indiano. E quanto avrà sofferto il tuo paese, violentato nei secoli dall'uomo bianco, che ne ha preso il cuore e ferito l'animo.
Mi diresti quello che vorrei sapere, se conoscessi il tuo idioma, uomo indiano?
O ti celeresti dietro l'immateriale paravento della diffidenza e della differenza?
Se sapessi parlare la tua lingua, uomo indiano seduto al mio fianco.
Forse vorrei sapere da te quanto ancora dovrai penare per cercare la tua dimensione, prima che Shiva ti abbia in gloria.
Quanto ti manca un gustoso shrikhand.
O, più probabilmente, mi farei dire come si dice in indiano: “Ti sai mettere una mano davanti a quella cazzo di bocca quando tossisci?”.

Scusa, uomo indiano.

giovedì 19 luglio 2012

Mille giorni di thè e di melma


 

“Com'è?”
Com'è cosa?”
“Com'è che va?”
Ah. Normale”
“Ma non eri andata a ritirare i risultati di quell'esame medico?”
Ah, sì. Tutto a posto”
“E quel fastidio che mi dicevi?”
Quale?”
“Quello”
Ah. Tutto a posto”
“Nel senso?”
Nel senso cosa?”
“Niente, lascia stare”
Ma non ci sei su What's up?”
“No. Oggi no”
Perchè?”
“Perchè c'è uno che mi rompe”
Cancellalo”
“Chi?”
Questo che ti rompe”
“......scusa, dicevi?”
No, niente”
“Ahahahahahah”
Perchè ridi?”
“Niente, un tipo mi ha risposto a una cosa di quel fatto?”
Quale?”
“Quello dell'altro giorno”
Io mi staggo”
“Da cosa?”
Chi?”
“Tu. Da cosa ti stagghi?”
......ma, non è possibile”
“Ma l'hai visto questo?”
Aspetta”
“Aspetta tu”
S'è impallato skype”

Lui ha la polo col colletto alzato.
Lei gli occhiali a montatura nera spessa.

Sono seduti su una panchina del parco pubblico.

Entrambi non hanno mai tolto gli occhi dal proprio smartphone.

Il figlioletto di 4 anni, intanto, a due metri da loro, gioca con un kleenex sporco di sangue raccolto da un cespuglio.

sabato 14 luglio 2012

L'inutile indovino


Il mio superiore è stato in vacanza. Ed io sono stato direttore generale supremo per dieci giorni. 
Incarnavo tutti i poteri del capo assoluto, compreso lo jus primae noctis sulle segretarie e le fotocopiatrici. Non sfruttandolo. 
Potevo autorizzare bonifici per centinaia di centesimi. Pretendere il titolo nobiliare, sputtanare alti papaveri al telefono e altissimi paperi al fax. 
Assumere allucinogeni per brevi momenti e Megan Fox a tempo indeterminato.
Avevo il mondo ai miei piedi, ma avrei preferito delle espadrillas. 
C'era la gente che contava, fuori alla mia porta, ma l'ho fatta smettere. 
Ho preso decisioni cruciali circa il ricambio del boccione dell'acqua minerale, le suonerie dei telefoni interni, pausa sigaretta ridotta di 5 minuti, obbligo di cambiare pagina del calendario entro il 3 del mese, divieto di riga in mezzo per uomini e rossetto sui denti per donne, abbassamento di 2 gradi dell'aria condizionata.
Ho cambiato timbro vocale, inchiostro consono, colore delle veneziane, ricetta delle mantovane, filodiffusione, armadietto dei medicinali, logo aziendale, luogo aziendale, carichi di lavoro.
Ma soprattutto ho installato su tutti i pc Fortiguard.
Così inizieranno fottutamente a lavorare.

E il titolo del post cosa c'entra?
L'altro giorno sono entrato nella mia stanza, ho guardato la collega bionda che intanto controllava le sue sestuple punte, e le ho detto: "And now, the end is near, and so i face, the final curtain..."
Lei mi ha guardato come se stessi leggendo al contrario il programma del Pd (che tra l'altro sarebbe anche più comprensibile).
Allora ho acceso il mio notebook, ed ho messo su una webradio qualsiasi.
Ed inizia questa.

martedì 3 luglio 2012

Shu.


C'è una foca che mi cinge le spalle con la sua pinna fresca. Sono in canottiera, di quelle bianche a riga larga. Scalzo, coi piedi ben saldi sul muschio refrigerante. Una brezza leggera mi spettina. Non che abbia ciuffi da contenere, ma passo le dita tra i capelli come Terence di Candycandy. Da lontano sento il fruscìo delle foglie che compone le lettere di un nome che non conosco: “Shu”. Il richiamo si avvicina. Cerco di allontanarmene volando a rana, e mi riesce benissimo. Trapasso una nuvola gelida, e un'altra ancora. Ma “Shu” è al mio fianco, costante.
Cerco di atterrare sul morbido, ma rallento sempre più. Arrivo a pochi centimetri da uno stagno. Vorrei toccare l'acqua fresca, ma riesco solo a sfiorarla. “Shu, Shu, Shu”.
Ora pedalo una bicicletta ferma. Mi alzo in piedi sul sellino, come sul Pordoi, ma il pedale non cede, come se fosse scolpito nel telaio. Telaio, che non c'è. Il manubrio è un ghiacciolo all'amarena, e i palmi mi restano incollati sopra.
Un'otaria mi sta fissando, seduta su una sdraio.
“Shu, Shu!”.
Il vento cresce, ora più intenso, ora più tenue, ma sempre più freddo. C'è un uomo che somiglia al mio insegnante di educazione fisica delle medie. Lo trascino nel cestino. Trovo aperta la portiera di un'auto e ci entro. Nella portiera, come la cenere profumata ai sapori di scandinavia. Passo al posto di guida, accendendo l'aria condizionata a palla. Dieci gradi, cinque gradi, zero gradi. Non parlo. Cerco di guidare, ma mi ritrovo sul sedile posteriore, e non riesco ad allungare mani e gambe. Dietro al parasole, compare un enorme ventaglio, i cui ideogrammi, se letti con attenzione, compongono la parola Shu.
“Shu, Shu, Shu!”

Apro gli occhi. La finestra della camera è aperta ma non passa un filo d'aria. La stanza è un'enorme bolla di vapore rovente. Mia moglie mi dice, a voce sempre più alta: “Su, su, su, svegliati, che è tardissimo”.  
Il mio martedì mattina.