lunedì 28 marzo 2011

Amante del piede (astenersi riflessivi)


Se  ti dovesse far male lo stomaco, la testa o dovessi avere, tua sventura, dolori premestruali, io sono in grado di guarirti. Conosco, esattamente, i punti del piede da massaggiare affinchè, in breve, il dolore si attenui fino a scomparire. Si chiama riflessologia plantare. Non ho la benché minima idea di come e perchè accada, ma tempo fa comprai questo libro su di una bancarella, e provai ad usare la mia famiglia come cavie. Indossai una sorta di sari, che aveva portato dal Nepal il cugino col porro sul naso, mi pettinai (cosa che non sono solito fare) e sottoposi alcuni parenti stretti all’esperimento.


Occorrente: mani dell’esecutore, piedi ben lavati del paziente, libro da € 1,00, 10 minuti. Evitate musica new age per evitare di addormentarvi nella pratica.

Non conosco i fondamenti scientifici della cosa, e credo che non ce ne siano, ma vi assicuro che, per quanto riguarda emicranie, mal di pancia e similari, funziona.
Sul fondo sinistro della pianta del piede destro, c’è un punto da massaggiare in caso di fastidio provocato dall’irritazione del colon ascendente. A fondo caviglia c’è la parte dedicata al dolore delle ovaie. L’alluce è la nostra testa. E via discorrendo, ogni organo ha un suo punto di riferimento nel piede. Una sorta di mappatura demenziale, che inquadra gli arti inferiori come centro nevralgico dell’intero corpo. Esiste anche una riflessologia della mano, ma non ho trovato il libro da € 1,00 e quindi non so dirvi.

Ovviamente, su di me non hanno alcun effetto tali pratiche. Il mio scetticismo batte tutto. Mi devi massaggiare il piede se, indovina un po’, mi fa male il piede. Se mi fa male la testa, massaggiami pure il piede, ma prendimi un bicchiere d’acqua per far scendere la pasticca.
In ogni caso, effetto placebo o no, i sottoposti traggono enorme giovamento. E io sono abbastanza noto nella stretta cerchia del parentume regionale in qualità di Podoguru.

E' ironico che la soluzione di un problema sia così distante dal luogo ove esso si manifesta. Sarebbe bello poter applicare lo stesso principio scombinato alle piccole e grandi questioni di tutti i giorni:

Ti mancano i soldi per coprire la rata del mutuo di aprile? Accendi e spegni la luce del ripostiglio per mezz’ora. Problema risolto.
Il pc si rallenta per problemi ignoti? Svuota il posacenere della tua auto in un’aiuola di margherite. E riparte di slancio.
La guerra alla Libia costerà all’Italia 5 miliardi di euro? Inumidisci la punta del cotton fiocc e sfregalo rapidamente nell’orecchio, ascoltando La Spada nel Cuore. Tutti a casa.

Non c’è niente da ridere.
Visto che queste cose fanno guadagnare miliardi agli scrittori, quasi quasi approfondisco l’argomento e ci faccio una trilogia. La chiamerò "Riflessologia planetaria"
Vi faccio sapere.

martedì 22 marzo 2011

Il Rantolo della Massaia


Appena uscito di casa posso optare fra 3 percorsi da seguire.


A destra c'è una viuzza stretta che poi si immette su di una provinciale: dopo l'imbuto iniziale, tutto fila via liscio.

A sinistra c'è una serie di 4 rotonde e tanti camion parcheggiati. Spesso sfrecciano dalle strade affluenti autisti assonnati e postini in piaggio. Se piove, questa è da preferire perchè più scorrevole.

Infine c'è una strada di mezzo. Una volta era una specie di gimkana. Ricordo che i tombini, stile comodini di piombo, baciavano spesso le coppe dell'olio degli ignari forestieri. Qualcuno aveva pensato di distanziare di 5 metri l'un l'altro dei rallentatori gialloneri, che servivano solo a far gioire i meccanici del posto. Poi l'hanno riparata, la strada, poco prima delle elezioni, ma nessuno ci passa più. Proprio nessuno. L'asfalto è ancora scuro. c'è erbetta ai lati. In quella via di mezzo, una volta incubo dei battistrada, non ci passa neanche una rosa di gerico.

La Via di Mezzo del Buddismo riconosce che la condotta di vita retta è nella esatta mediana, che non comporta eccessi, stravolgimenti, assolutismi. Anche Aristotele sosteneva che la cosa migliore fosse il mezzo. In medio stat virtus.

Ma è difficile da trovare. Anche se spesso è proprio sotto i nostri occhi.
Io la cerco anche quando si tratta di fare la spesa. Ma faccio fatica. La fatica di combinare salute e tasca. Per questo tendo ad evitare i supermercati.

La strada di là.
Il contadino biodinamico mi assicura che le rape a € 32,00 al chilo ed il ciuffo di prezzemolo a € 3,00 sono così sani che li potrei anche mangiare. Ma perché, cos'altro ci dovrei fare? Il suo banco al mercato è affollatissimo. I clienti sgomitano per pagare 8 patate al prezzo di uno swatch. Alcuni si sono fatti mettere da parte le uova fresche, presumibilmente prodotte dal culo di galline con la triennale in scienze psicologiche. I più furbi si fanno preparare il pratico cestino da scinquanta euro, in cui c'è un po' di tutto, ma va consumato entro 24 ore, per evitare che si crei un misto compost-percolato in grado di creare, per mitosi, esemplari di chupacabra.
Ma cos'è poi questa agricoltura biodinamica? Inventata da Rudolf Steiner, insegna che il terreno di coltivazione va amato, curato e coccolato, spruzzato con polvere di quarzo e letame macerato, le piante vanno esortate con rispettose frasi ad effetto, i parassiti vanno tenuti lontani con induzione al senso di colpa.
Nonostante tutta la sfilza di ciarlatanerie, continuo a fidarmi di questi prodotti senza cere e detersivi incollati, ma non li voglio pagare quanto un Tennis di Tiffany.

La strada di qua.
Il parcheggio del discount vicino casa è un collage di varia umanità. Due zoccole parlottano tra loro, penso sul problema del nucleare. Il pusher marocchino cerca la legge morale dentro di sé. Un uomo trascina un passeggino vuoto. Un branco di cani si gode il pallido sole di marzo. Una Ritmo color ruggine ragiona sul perché di quei mattoni al posto delle gomme. All'interno dei locali, i commessi si muovono al rallenty. C'è una bella offerta sulla mozzarella Principe del Casal: 500 grammi, € 0,50. La Cola Tamara Bykova svetta a € 0,35 per il bottiglione da 2 litri. Carote rosso fuoco come regalate. Un bustone di gamberetti surgelati Yesnuke a solo € 1,00 alla libbra. Il succo di frutta Gavrilo Princip viaggia sull'ordine dei € 0,15 al brick da litro. Le 6 vaschette di yogurt alle bacche di ginepro, in offerta, costano quanto un pacchetto di vigorsol. Quando la cassiera annuncia il 3x2 sulla salvafreschezza della spalla di cotto, il panico.

Quindi.
Non pretendo un carrello da € 670 con due piedi d'insalata vergine ed un peperone immacolato. Ma neanche 9kg tra pesce, carne e verdura, il tutto a € 21,99.

Una giusta via di mezzo ci dovrà pur essere.

venerdì 18 marzo 2011

I've seen things



Nella mia città c’è una ringhiera dove si appoggiano sempre delle belle ragazze. Mai vista una brutta, poggiata lì.

C’è una fontana spenta.

C’è una stazione abbandonata, dove manco i cani ci pisciano più.

Nella mia città c’è la fila alla Caritas e c’è la fila al McDrive.

C’è un posto dove il caffè costa 60 centesimi.

C’è un posto dove non ti fanno entrare se hai i capelli lunghi.

Nella mia città c’è un uomo che ha 65 anni ma il cervello come un bambino di 7 anni.

C’è una persona che rapina un uomo che ha 65 anni ma il cervello come un bambino di 7 anni.

C’è un posto di polizia.

C’è una sala scommesse ogni 100 metri.

C’è il bianco.

C’è il nero.

C’è una ragazza che mi raccontava, preoccupata, di aver scoperto che la sorella di una sua amica è lesbica.

 “Beh?”, le ho detto io.

“Come beh?”, mi fa lei. “Ma se ci sono uscita più volte, la scorsa estate?”.

“Quindi?” ho fatto io.

“Quindi, se ci provava? Cazzo, se ci avesse provato? No perché le lesbiche ci provano, si sa. È nella loro natura. Sono pervertite. E poi come facevo?”.

“Come facevi cosa?”.

“Come facevo a togliermela di dosso”.

Nella mia città.

Alle volte vorrei che la nube di Fukushima deviasse di 9.500 km.

martedì 15 marzo 2011

Richter Sport

                                        
Siete diventati tutti esperti di qualcosa: ora tocca alle teorie sulla fine del mondo. Ognuno in casa, al bar, in chiesa, nell'ascensore, nel sexyshop di fiducia, in fila dal medico, in attesa dal pusher, dal parrucchiere, a caccia, a scuola, a trans, si sente in dovere di discettare di segnali dell’Apocalisse. Come se l'esistenza di Alfonso Signorini e i dischi di Ligabue non fossero bastati.

Dopo un’accurata selezione, ecco le semifinali a 4 delle migliori teorie, che si contendono l'immaginario premio Arnageddon:

Il sismologo Raffaele Bendandi, morto vecchissimo dopo aver previsto un miliardo di sciagure attraverso, tra l’altro, l’ascolto del rumore del suo catetere (tipo il terremoto del Friuli del 1976), avrebbe lasciato una quintalata di brandelli di carta con formule, appunti, liste della spesa, schedine, pagine de LeOre, scontrini della Vegè, che, abilmente accostati l'un l'altro, formerebbero la data di scomparsa della Città di Roma a causa di una scossa devastante: mercoledì 11 maggio 2011. Sarebbe il caso di deridere una teoria che ha dimenticato la distruzione, nel frattempo di Irpinia, Umbria-Marche, Molise, Abruzzo, puntando ad oltre 35 anni dopo. Comunque ci hanno fatto uno speciale su Raidue. Quindi.

I seguaci della teoria delle scie chimiche sostengono che dall'Alaska partano, ogni giorno, degli aerei militari pieni di particelle di Alluminio. Anziché incartocciare l'arrosto avanzato dai pranzi di matrimonio, le spargerebbero nei cieli di mezzo mondo per controllare il boom demografico, irrorarci di virus, prendere possesso della nostra psiche. Gli stessi effetti della Chiesa in Africa. A testimonianza visiva di ciò, ci sarebbero queste scie chimiche nel cielo, che noi fessi scambiamo per nuvolette innocue. Ci sono migliaia di siti sull'argomento, testi pseudoscientifici, convegni, un mio ex compagno di classe che una volta era tanto bravo. Considerando che nel mio deodorante ascellare c'è molto alluminio, che devo fare?

Alcuni complottisti leggono nel numero 11 il leitmotiv di tutte le ultime sciagure dell'umanità: 11 settembre, terremoto dell'11/03 in Giappone, Manatthan inizia per M che è l'undicesima lettera dell'alfabeto (italiano, però, non inglese.), le cifre della fine del mondo maya feat.giacobbo danno un totale di 11. Adolf Hitler ha il nome di 11 lettere. Aggiungo tra le sciagure, che il costo di Martinez alla Juve è stato di 11 milioni di euro + 1. L'ultima canzone di Marco Carta è 11 volte più brutta della precedente. 11 anni fa si è costituita la band The Calling ed è uscito il film Il Canone Inverso. Ed, ovviamente, 11 è l'unico intero a non essere Harshad-morfico in base 10. L'esperto di olistica Rossetti (il nome non ve lo dico, se no lo andate a cercare e non è bello) sostiene che il numero 11 sblocca le energie ed è capace di generare terremoti. Chissà se è capace di sbloccare anche il bloster dal mio scooter.
Non capisco dove si voglia arrivare con questa teoria, ma ogni 11 del mese sono particolarmente occupato con la levigatrice.

Il gruppo Bilderberg sarebbe una sorta di setta segreta mondiale che stabilisce le sorti del pianeta in modalità carbonara, al pari degli Illuminati, con il preciso scopo di stabilire il destino dell'intera umanità, tra cui la fine del mondo e le modalità di messa in salvo dei “luminari”, in incontri annuali che fanno della riservatezza di temi e discussioni la propria spina dorsale. Il fatto che a diversi incontri abbia partecipato Walter Veltroni ha di fatto smentito tutte le preoccupazioni di coloro che vedevano nell'associazione segreta un pericolo mondiale. I fautori della protesta si sono spostati su di una più comoda campagna contro i vaccini e l'acido ascorbico presente nei cetrioli sottolio.

I segnali sono chiari. Chi vuole capire, capisca. Del resto, due più due fa quattro. Anche se per il Professor Cesare Sbranfocci, in realtà fa 11.

venerdì 11 marzo 2011

We are the Words


Le parole sono importanti. Ci dicono ciò che siamo. E ciò che sono gli altri.
Se dovessi stilare una personale classifica delle parole che sento più spesso, sono costretto a dividerle per ambiente.



A casa la spunta un'interiezione onomatopeica. Speravo nell'aiuto dell'etimologia, ma è solo un suono trasformato in parola. Una parola buffa. Anzi, uno sbuffo. Nella mia abitazione la fa da padrona Uffa. Nella versione Husband 2.0.
Per il Sabatini Colletti la parola non esiste, Saperepuntoit non ha idea di cosa significhi, Treccanipuntoit mi ha anche guardato storto quando l'ho cercata.
E' la Hoepli, finalmente, che mi dà soddisfazione, quando iniziavo a pensare al complotto plutogiudaico. Uff, uffa, auff, auffa, sono interiezioni che esprimono noia, impazienza, fastidio e similaria
Hoepli avrebbe dovuto mettere anche la foto della mia Signora, ma ella non ha dato l'autorizzazione. Sarebbe bastata anche una Gif. E' molto brava nell'arte dell'Uffa. Prende una rincorsa polmonare a pieno regime, alcuni metricubi d'aria, e poi espira lungamente, cercando di rendere partecipi tutti gli astanti, che in casa nostra, spesso sono solo io. Quando è in forma, le labbra si esibiscono in un vibrato ancora più efficace. In particolari periodi di forma, come i 25 giorni di crisi premestruale, l'Uffa è attivo anche durante il sonno.

Sul posto di lavoro non c'è gara: la parola che regna è Cioè. In ufficio è tutto Cioè. Ogni concetto, filosofia, richiesta, presa di posizione, riflessione, valutazione, ipotesi, ponderazione è preceduto da un Cioè. Alle volte è un Cioè singolo, senza mezze misure, isolato. Un Cioè dice tutto, in ufficio. Un Cioè è per sempre.
Quando il collega è preparato, il Cioè è seguito da un esplicativo “ma ti rendi conto?”. In questi casi, a mo' di richiamo, arrivano anche gli altri colleghi, come le upupe attirate dal plurifon. Si forma il capannello. Tutti in attesa di sapere di cosa mi debba rendere conto. Tutti, tranne il sottoscritto.
L'ultima incredibile notizia Cioèed riguardava un collega di un'altra filiale, che raccontava di essere tornato a casa, nel pomeriggio del giorno prima, e di essersi seduto sulla sua poltrona. Da quel momento in poi non ricorda nulla, se non vaghi istanti di esperienza extracorporea, intervallati da lunghi periodi di buio totale. Fin quando, qualche ora dopo, non è giunta sul luogo del fenomeno paranormale la figlia, preoccupata dal fatto che il padre non rispondesse al telefono. C'era chi diceva “Cioè, sarà stato un breve coma”, e chi, più pacatamente sosteneva “Cioè, esistono anche casi di morte apparente”. Qualcuno cercava di chiosare, con un solenne “Cioè, ma ti rendi conto? Torno a casa e per alcune ore mi assento e non ricordo più nulla.” La tensione si tagliava con il tailleurino. Il capannello era sempre più fitto. Il risorto guardava nel vuoto, mentre le veroniche tentavano di asciugarne la fronte madida.
Poi sono intervenuto io. Avrei dovuto sfoggiare il Cioè, passpartout per ogni ascolto sicuro. Ma non ce l'ho fatta. Non ce la faccio. Chiamatemi radical chic. Chiamatemi snob. Chiamatemi signor Ettore. Ma il Cioè, no.
Non mi sono neanche dovuto fare spazio tra le genti. Oramai l'immagine della folla era da Cappella degli Scrovegni. Si era in adorazione, c'erano solo sospiri e ammirazione. C'è stata una sola parola, la mia: “Franco, ma non è che ti sei messo sulla poltrona e ti sei semplicemente addormentato, profondamente, per 3 ore? Sai, si chiama sonno. Per dire”.
Si, era esattamente successo questo. Ma la gente vuole la Storia, il Mito, il Mistero, l'Ignoto, Voyager, l'Imperscrutabile. 

Cioè, ma vi rendete conto?

mercoledì 9 marzo 2011

Storia quasi d’amore tra pistacchi e madonne 2/2


(seconda e ultima parte)

Una  mano mi fermò.

Il siriano mi tenne il braccio e si avvicinò all’ orecchio per sussurrarmi qualcosa. Sarà stata la colonna sonora di fondo, le mie orecchie ovattate da anni di incuria, l’accento spiccatamente poco teutonico del mingherlino gestore olivastro, ma io non capii nulla. “hosh poto dafarkt bidère - hosh poto dafarkt bidère” ripeteva, e la sagoma delle sue dita tozze aveva già tribalizzato il mio esile braccio sinistro.
Mi trascinò al piano di sotto. “Vorrà farmi provare qualche intruglio copto”, pensai. “Lo berrò, e ancor di più pervaso da questo neonato coraggio mai trovato prima, mi fionderò nella toilette e poi qualcosa inventerò. Sperando di esprimermi da essere umano e non da minorato sceneggiato da Antongiulio Majano”
Il siriano dagli occhi di ghiaia doveva, invece, mostrarmi delle foto che aveva scattato e sviluppato. All’epoca scrivevo, sottopagato da uno squallido sosia di Carlo Freccero, sull’informagiovani cittadino e gestivo, tra le tante cose, una pagina di foto amatoriali, luoghi inconcepibili, polaroid di carrelli, scatti di unghie, panorami sfocati, vasi rotti, coccigi, matrimoni tristi, ostelli disabitati. Le foto che aveva fatto erano davvero belle. In una di queste c’era una nutria.  Mi ripeteva che era un animale bellissimo, con una coda spessa ed un pelo marrone scuro che gli ricordava la nonna. Diceva che in Siria non c’erano le nutrie. Se ne rammaricava. Credo stesse pensando di aprire un import export di nutrie da e per Damasco. Preso dalla curiosità, sfogliai le altre foto, ma non ricordo cosa ci fosse. Ricordo solo che mi fermai un istante, a riflettere su cosa cazzo stessi facendo al cospetto di un siriano, una nutria probabilmente portatrice sana del ceppo più pericoloso di leptospirosi, un bicchierino di centerba, mentre sopra la mia apparizione su misura, stava, probabilmente, facendo le ragnatele al bagno. Con fatica mi scrollai di dosso il gestore del pub, che mi lasciò in custodia gli scatti al castoro infangato, e più lo guardavo e più mi sembrava un ratto di fogna a tutti gli effetti.

Quando tornai nella sala poco illuminata al piano di sopra, Colei era tornata al tavolo, visibilmente contrariata, pensai io, forse per l’assenza di carta igienica al cesso o per quella lampadina fulminata, appesa foglia di salice tra rami di messaggi profani e pagani. Prese la borsa, il pacchetto di marlboro morbide, un accendino, una magliettina di filo, più fredda dell’aria gelida. Il tutto senza mai staccarmi gli occhi di dosso. Scese le scale, e andò via. Rimasi impietrito a guardarla, senza accennare un sorriso di merda, senza alzare un dito o un sopracciglio. Non dico urlarle qualcosa, ma almeno accennare ad un ciao, anche con la manina. Niente. Mi voltai verso la finestra, attendendone l’uscita dal portone intarsiato del locale. Dopo qualche minuto la vidi passare, di spalle, col golfino attorno al collo, ed una nuvola di fumo che si divideva ai lati della chioma. La seguii con gli occhi per alcuni metri, fin quando lei si girò a guardare verso l’alto. Allora alzai il braccio, come quando il libero segnala un fuorigioco all’arbitro, non visto dal guardalinee. Senza poesia, ma così feci. Lei mi salutò, camminando all’indietro, leggermente china in avanti come a raccogliere l’onore della mia finale attenzione, e mi sembrò la cosa più sexy che mai donna al mondo avesse fatto.
Poi sparì, come un gettone della sip, inghiottita da un angolo di visuale. Appallottolai la nutria, e la gettai in faccia a G., che mi guardava da un po’col medio alzato.

Qualche mese dopo, passate albe al sapore di chantilly e campagne elettorali al gusto di antiacido, stavo bevendo birrevodka battendo la punta della scarpa a tempo con Dawn Penn, in uno dei rari live di qualità che scalfiscono la provincia di questa parte di mondo dimenticata da Dio. L’Esarca mi parlava del suo nuovo racconto. A 5 metri dal mio piede, vidi Lei. Era al bancone, e chiacchierava con un rasta. Mi piacque rivederla. Avevo avuto altre storie, ma la botta di quella sera della nutria, no, non l’avevo dimenticata. Mi dissi che non c’erano siriani del cazzo a fermarmi. Stracciai manuali di tattiche in un pensiero solo. Avevo bisogno di un amo. Che so, il nome.
L’Esarca sapeva tutto, di tutti gli under 40 del territorio. Gli chiesi: “La vedi la tipa bionda laggiù?”. Annuì. “La conosci?”. “Certo”, disse l’Esarca. “È una gran troia”. È una gran troia. Non una troia. Una gran troia.  “Perché me lo chiedi?”, disse. “Niente. Mi incuriosisce sapere il nome delle ragazze. Tutto qui”.

Mi girai dall’altro lato. Feci un sorso molto più lungo del solito. Il piede riprese a battere a tempo.
Oh no, no, no. You don’t love me and i know now.


lunedì 7 marzo 2011

Progressi Melliflui© (Storia quasi d’amore tra pistacchi e madonne). 1/2


Quel giorno mi innamorai.

Quarto brindisi di non so cosa, e qualcuno lanciava scorze di pistacchi nella candela schiacciata. Calippo, il nostro amico di Vibo, sosteneva che il guscio del pistacchio fosse di legno. Il resto della ciurma lo irrideva. Qualcuno sbriciolava una Diana blu sotto al tavolo di legno del locale del siriano. Non mi fidavo del mediorientale. Una volta l’avevo visto comprare birra al discount. Quei pistacchi saranno stati coltivati in Honduras da droni in pvc, o in Transilvania da ex comunisti con le tute in triacetato, per quanto ne potessi sapere. Dividevo la mia scialba attenzione tra la lezione sugli involucri degli scadenti anacardi ed un’appassionata apologia della cultura rom, a cura di non so quale amico rivoluzionario che oggi ha il coupè. Non me ne fregava nulla, ma offriva lui l’alcool, quella sera, e allora si annuiva con l’educazione ed il prematuro parkinson tipico dei giovani scapigliati del tempo.

Per essere giugno, non faceva poi tanto caldo. Mi ero posizionato davanti alla finestra, al primo piano del locale, e mi ero subito pentito della scelta. Gli schiamazzi confusi di un passante pugliese erano più interessanti delle due discussioni che si dipanavano attorno a quel tavolaccio, tra boccate di catrame e voglia di stuzzicadenti. In quella stanza, pochi mesi prima, l’Esarca aveva ritirato un premio per alcuni racconti. L’aroma di olio baby johnson era ancora nell’aria.
In quell’attimo stavo smentendo un postulato, o forse mi era solo risalita la parmigiana di mamma. Fatto sta che, alle prese con un’inespressività da palma d’oro, lo sguardo si andò a conficcare in un pertugio, una fessura, una lingua di luce tra la faccia di G. e la testa, invero spettinata a schifo, di Minnie.

Lì, mi apparve la Madonna.

Non era certo la prima volta che avevo a che fare con bellezze del tutto fuori portata perun pur eccentrico studente lavoratore . Ma questo viso, carico di luce e di un sorriso che stuprava i sensi, incastonato, scolpito, questo viso non era nulla di già visto. L’ombra compatta proiettata dall’applique di coccio, tangeva la ciocca destra. Il damascato sbiadito sulle pareti incorniciava il perimetro del capo.
L’estasi geometrica fu vanificata, poi, dal repentino movimento a scansarsi qualcosa dalla fronte. Fu allora che mi osservò. Il mio sguardò restò. Il suo, pure. Non mi staccai, aiutato dai 35 gradi di qualcosa che qualcuno mi aveva a più riprese versato nella coppa. Mi stava proprio fissando. Cercai di capire se ci fosse qualcosa di interessante oltre me. Ai lati, no di sicuro, giacchè Maurizio dormiva da molto (probabilmente lo avevamo trovato già lì, così) e Calippo era di spalle, ad allietare le sacche scrotali dei presenti con le formule di prostaferesi. Sopra, nulla. Era proprio me, che guardava.

A quell’età ci sono diverse tattiche da attuare in casi come questi. C’era il Passo Felpato, che consisteva nell’avvicinarsi alla preda scambiandola per un’altra persona, per poi arpionarla con frasi ad effetto sussurrate nell’orecchio. C’era lo Sguardo Trascinato, null’altro che recarsi in altro vano del locale, scrutandola con la coda dell’occhio, fino a quando avrebbe poi irrimediabilmente seguito il cacciator cortese. E c’era La Mossa di Ettore, che consisteva nel rimanere seduto, inefficiente, in attesa che tutti fossero andati via, anche i proprietari del locale, con l’iniziativa completamente a carico della donna, in un crescendo di inutile apatia, standosene completamente privo di verve sulla sedia, come un innocuo stronzo. Colonna sonora a cura di Lou Reed e/o King Crimson.

Stavolta la mossa la fece lei, davvero, trascinando lo sguardo e recandosi al bagno, da sola. Capite: da sola. Senza neanche l’amica scorpioncina81 o Lapaola a tenerle porta del cesso, kleenex e ovaie in mano. Fu lì che ebbi un’idea. Rimasi sulla sedia. Pensai che forse lei avesse davvero bisogno di andare al bagno. Pareva brutto, poi, disturbare. G. aveva capito cosa stava accadendo, ma fino a quel momento non aveva parlato. Mi fece un cenno con la testa, mi diede un calcio allo stinco, mi lanciò un’oliva in fronte. A quel punto mi decisi, e mi alzai. Mi feci spazio, tra le sedie spaiate, per cercare di raggiungere faticosamente il bagno.

Una mano mi fermò. 

(continuò)

giovedì 3 marzo 2011

Ai posteri, l'hard

Ma nessuno pensa mai alle assonanze?
Oliviero Toscani, intervistato dal Secolo XIX, ha affermato, usando un'elegante allegoria, che le donne sono tutte troie. Per lui le donne sono bestie da sesso. "Per fortuna non ho mai avuto mogli italiane. Culi bassi, gambe corte e ascelle pelose. Mi state sulle palle”, aggiunge, citando Tagore. Per Toscani il gentil sesso "preferisce puntare sulla bellezza, anziché sull'intelligenza e le donne intelligenti non lo sono abbastanza. O non hanno abbastanza forza per opporsi. Fanno schifo", chiude.
Ha dei modelli abbastanza particolari, il barbuto fotografo di cavalli eccitati, suore lesbo e capre multicolor. Di solito in questi casi si esclude la mamma, ma lui non lo fa. E nel grande marciapiedi che è l'italia vede un nugolo di borse roteanti, alla ricerca del primo vecchio flaccido da spennare. Come parte del discorso per un primo appuntamento credo ci sia  bisogno di alcune limature.

Toscani non ci ha ancora parlato di quello che pensa degli uomini. Non ci è dato sapere se abbiamo il culo basso o alto, se le nostre ascelle sono adatte al suo sguardo critico, se gradisce i nostri polpacci. Dovrebbe dare un giudizio, se non su tutti, almeno su 8 milioni di maschi italiani. Che sono quelli che, almeno una volta al dì, si fanno una bella scorribanda sul porno online, secondo una fondamentale ricerca dell'Università di Padova.
8 milioni di italiani, mica io, mammeta e tu (che tra l'altro sarebbe anche un piacevole menagè a tròis, se tu fossi lei).
16 milioni di occhi in continuo movimento, 16 milioni di mani, 40 milioni di dita, e via moltiplicando. 8 milioni di sensi di colpa. 
Ne è passata di acqua sotto i ponti (e non solo lì), da quando le ultime pagine del Postalmarket erano il refugium peccatorum del teenager in cerca di un climax su misura. Oggi, con un paio di agili click, ci si imbatte su siti del genere.
Anoressia sessuale, è la definizione. Sessualità fredda e ripetitiva.
L'andrologo dice che nei giovanissimi l'accesso precoce a “tanta roba” spezzerebbe la crescita verso una vita sessuale piena e legata all’affettività. «È una vera e propria sindrome clinica che colpisce la fascia più giovane della popolazione maschile, che ci consulta perché ha difficoltà di erezione e un progressivo disinteresse al sesso», conclude lo scienziato, attendendo il completamento del buffering di una sagace interracial gang bang. 

In sostanza Femmine contro Maschi, negli anni a venire, altro non sarà che Peripatetiche contro Onanisti. Stiamo messi bene.